Nel maggio 1974 un evento di carattere generale, il referendum promosso dai clericali per l’abrogazione della legge sul divorzio, ha un’importanza specifica per il movimento delle donne tutto. Non solo per il merito della questione o per i diritti civili, ma perché è la prima occasione in cui – slegate da appartenenze di partito o da meccanismi elettorali – le donne sanno trovare gli argomenti più efficaci (il personale è politico) per condurre in termini di massa la campagna per il NO.
Le donne escono da questa esperienza rafforzate nella loro capacità di stare sulla scena politica e con lo slancio necessario per affrontare la questione dell’aborto.
Fin dal 1969 il Movimento di Liberazione della Donna, federato al Partito Radicale, si era impegnato per la legalizzazione dell’aborto e per l’uso degli anticoncezionali, con azioni di disubbidienza civile molto rischiose e clamorose, come l’autodenuncia per aborto o per procurato aborto. Rapidamente il movimento che ha alla base la riappropriazione del proprio corpo, diventa centrale per tutti i gruppi e i collettivi femministi, in grandi manifestazioni di piazza, che si caratterizzano via via sempre più come separatiste, anche nei confronti dei maschi “democratici” e della sinistra extraparlamentare.
Il 13 novembre 1974 l’Udi fa a Roma una grande manifestazione perché sia approvato il nuovo diritto di famiglia, che eliminerà le forme più odiose e arcaiche di soggezione giuridica delle donne e stabilirà, nel 1975, che “ i due coniugi hanno diritti e responsabilità uguali e sono ambedue titolari della patria potestà. E’ forse la legge più importante approvata dalla Repubblica per le donne. Vecchi istituti, come la dote e la separazione per colpa vengono aboliti, sparisce il capofamiglia, l’autorità maritale e paterna, lo ‘ius corrigendi’, diritto del solo marito a ‘correggere’ moglie e figli, i beni acquisiti durante il matrimonio sono di entrambi, alla morte di un coniuge l’altro eredita metà o un terzo (dipende dal numero dei figli). La donna ha il diritto di conservare il proprio cognome, a cui si ‘aggiunge’ quello del marito. Ed è anche cancellata la vecchia distinzione fra figli legittimi e illegittimi”. (7)
E’ evidente che la nuova titolarità assunta dalla donna nella famiglia obbliga tutti e tutte a fare i conti con l’autodeterminazione anche nel concepimento. ( Pina Nuzzo infomemo )
Diritto di famiglia, cronologia essenziale
1865: il codice civile in omaggio al principio della infirmitas sexus, sancisce gravi limitazioni alla capacità della donna, che non ha diritto di voto né può accedere ai pubblici uffici, non può prestare testimonianza, è incapace alla tutela e, se coniugata, non può compiere amministrare il proprio patrimonio senza l’autorizzazione del marito.
1942: il nuovo Codice civile riproduce le norme del 1865 sulla condizione delle donne.
1948: per la Costituzione la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio.
1970: approvata la legge n. 898 sullo scioglimento del matrimonio.
1974: nel referendum sul divorzio il 58% degli italiani vota per il mantenimento della legge.
1975: riforma del diritto di famiglia che sancisce la parità dei coniugi.
1981: abrogata la rilevanza penale della causa d’onore come attenuante nei delitti.
1987: introdotte nuove norme nella disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio.
Alla ricerca della famiglia perfetta….
Nell’Italia unita, ci avevano provato già i liberali, ad introdurre il divorzio, nel 1878. Ci provarono ancora, nel 1882, poi nel 1892, infine nel 1901 con le proposte di Zanardelli. Sempre respinte.
Fin dai primi mesi del 1946, famiglia, matrimonio, divorzio e indissolubilità costituiranno temi di discussioni accesissime nel Parlamento repubblicano. Le donne, compatte attorno all’obiettivo dell’uguaglianza dei diritti nella sfera pubblica, si divisero quando la stessa uguaglianza riguardava la sfera privata. Le elezioni del 1948 si sarebbero svolte all’insegna della contrapposizione fra il partito dei cattolici e le sinistre laiche, la propaganda religiosa avrebbe giocato un ruolo importante per il futuro assetto della politica italiana.
L’articolo 29 della Costituzione italiana definisce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, un modo per introdurre il concetto di indissolubilità sancito dalla Chiesa nell’anno di grazia 1563 e pienamente accolto anche dal recente Codice civile del 1942. La Costituzione, invero, introduceva anche altre cose: uguaglianza giuridica e morale tra i coniugi, parità di trattamento tra figli naturali e legittimi. Tuttavia, anche dottrina e giurisprudenza per molto tempo tenderanno a negare il significato innovativo delle regole costituzionali.
La famiglia italiana si muove ancora in un’ottica in cui il modulo di riferimento è il potere e non attribuisce una specifica rilevanza alla sfera dei sentimenti e degli affetti. La figura centrale di questo modello giuridico è quella della potestà del capo famiglia al quale sono assoggettati moglie e figli. E’ una struttura rigidamente gerarchica.
Si preparano tempi nuovi…
Quando fin dagli anni ’50 le donne dell’Udi cominciano a parlare di emancipazione, poi di di società maschilista e poi a mettere in discussione la divisione dei ruoli all’interno della famiglia, danno scandalo. Con le trasformazioni sociali degli anni 60 il capo famiglia perde parzialmente il suo potere, la moglie matura sicurezze e responsabilità fuori dalla famiglia, i figli divengono progressivamente autonomi.
Le donne italiane lottano per una nuova forma di cittadinanza partendo da alcuni diritti quali i tempi del lavoro, i tempi della famiglia, un nuovo diritto di famiglia, il divorzio: tutti passaggi che le aiutano a sottrarsi al controllo del patriarca e del patriarcato, delle istituzioni e della chiesa.
Nel 1970, l’introduzione del divorzio segna un mutamento epocale: le tematiche dei diritti civili, sostenute fin dal ‘65 dal Partito Radicale e dai socialisti, trovano terreno favorevole in una società disposta a cambiare e questo costringe i partiti di massa (DC e Pci) a farci i conti in termini politici e legislativi. Nel 1968 a Corte costituzionale aveva dichiarato incostituzionale la disuguaglianza dei sessi nella punizione dell’adulterio e finalmente nel 1970 passa la legge Baslini Fortuna, che introduce il divorzio. Immediate e infuocate le polemiche: i Vescovi invocano il referendum, il primo dell’Italia repubblicana, ma la società sta cambiando, la forza delle donne italiane cresce, il confronto si anima. L’appello a partecipare in massa ai dibattiti viene accolto:”la democrazia ha bisogno di noi”. 12 maggio 1974: viene respinta la richiesta di abrogare il divorzio. L’Italia è cambiata. È un evento cruciale per il movimento delle donne, non solo per la questione sui diritti civili, ma perché è la prima occasione in cui le donne – slegate da appartenenze di partito o da meccanismi elettorali – sanno trovare gli argomenti più efficaci (il personale è politico) per condurre in termini di massa la campagna per il NO.
Qualche mese dopo, il 13 novembre 1974 l’Udi fa a Roma una grande manifestazione perché sia approvato il nuovo diritto di famiglia, che eliminerà le forme più odiose e arcaiche di soggezione giuridica delle donne e stabilirà che i due coniugi hanno diritti e responsabilità uguali e sono ambedue titolari della potestà genitoriale.
La riforma del 1975 è forse la legge più importante approvata dalla Repubblica per le donne: vecchi istituti come la dote e la separazione per colpa vengono aboliti; con il capofamiglia scompare anche l’autorità maritale e paterna, lo ‘ius corrigendi’, diritto del solo marito a ‘correggere’ moglie e figli; si afferma il principio base della comunione dei beni acquisiti durante il matrimonio; modificate anche le norme sulle quote ereditarie; la moglie ha il diritto di conservare il proprio cognome, a cui si ‘aggiunge’ quello del marito; cancellata infine l’odiosa distinzione fra figli legittimi e illegittimi. Le donne escono da questa esperienza rafforzate nella loro capacità di stare sulla scena politica e con lo slancio necessario per affrontare la questione dell’aborto su cui comincia ad aprirsi un nuovo dibattito.
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Quaranta anni dopo, nell’Italia del terzo millennio, per la “famiglia” in Italia si affacciano nuove realtà e nuovi problemi, che si incrociano e si confondono con altri irrisolti da tempo: convivenze e patti civili di solidarietà anche tra coppie dello stesso sesso; accordi prematrimoniali; violenze e illeciti in famiglia che emergono come realtà diffusa; affidamento condiviso e mediazione familiare come tentativi di soluzione alle crisi matrimoniali; infine, procreazione medicalmente assistita. Sono solo alcuni esempi di tematiche a cui il Parlamento non dà soluzione e quando la dà si tratta di aggiustamenti parziali e spesso contraddittori. In alcuni casi, come per la fecondazione assistita, si tenta un ritorno al passato. Anche sulle questioni legate alla “famiglia” o come qualcuno dice alle “famiglie” si avverte un crescente distacco della classe politica dalla realtà sociale; spesso accompagnato da uno strenuo tentativo di conservare posizioni e assetti di potere messi in crisi dal femminismo. In questo scenario, si tenta anche di reintrodurre, attraverso media e pubblicità, un’immagine stereotipata della figura femminile anche nella famiglia.
Siamo ai giorni nostri. Un nuovo giro di boa per le donne in Italia?
Scheda a cura di Milena Carone per il calendario Udi del 2011