doppia origine

Intervento convegno CIRSDe, Università Torino 24,26 ottobre 2007

L’Udi ha una doppia origine, una che è molto celebrata, ricordata, nominata, come stiamo facendo oggi, e una che, non solo non è ricordata, ma anzi passa per essere il momento in cui l’Udi è scomparsa.

La Storia ci dice che l’Udi nasce nel 1944-45 dai gruppi di difesa delle donne e subito si impegna per realizzare il tessuto politico e sociale necessario alla riuscita della campagna per il diritto al voto delle donne.

Ho sentito molte volte raccontare dalle protagoniste, con parole semplici, prive di enfasi, cosa riuscivano a inventare per convincere le donne ad andare a votare. Era normale, in un Paese appena uscito dalla guerra, rimboccarsi le maniche e darsi da fare per costruire tutto, a cominciare dalla democrazia.

A me, giovane donna, che ero arrivata all’Udi negli anni in cui esplodeva il femminismo, quei racconti sembravano lontanissimi e un po’ lontani sembravano essere anche a chi li aveva vissuti direttamente.

Per molti anni ho fatto politica – tanta – insieme a donne che sorvolavano sugli eventi che oggi celebriamo, prese come eravamo dalle lotte che il nostro tempo richiedeva e che abbiamo condotto insieme, giovani e adulte. Non mi veniva proprio di pensare a loro come a dei monumenti perché avevamo in comune altre urgenze per le quali discutevamo anche ferocemente: asili nido, nuovo diritto di famiglia, contraccezione, aborto, violenza sessuale…solo per dire i titoli!

Per la donna giovane che ero, far parte di un’associazione così, che ha tanti anni, ha voluto dire confrontarsi concretamente con donne diverse per età, provenienza sociale, esperienza politica. Ho dovuto collocare la mia storia personale dentro una storia collettiva, e continuo a farlo, perché così tanta storia può diventare un fardello pesante quando si vuole fare politica. Ancora oggi devo ridefinire il tempo e lo spazio che occupo dentro l’Udi perché l’eccesso di significati e di immaginario può cancellare quelle come me, insieme a un pezzo fondamentale della politica delle donne.

Noi eravamo l’associazione che, per definizione, in Italia rappresentava le donne, ma eravamo anche percepite come allineate o complementari alla Sinistra. In questo c’era anche una verità, perché Togliatti comprese che senza la partecipazione e la presenza attiva delle donne, sarebbe stato difficile ricostruire il Paese. Per avviare un processo democratico c’era bisogno di tutti e tutte, uomini e donne, avevamo bisogni di luoghi, come i partiti, per imparare una nuova convivenza civile.

I partiti però non erano proprio adatti alle donne.

Non starò qui a dire perché, lo possiamo immaginare. Meglio una associazione, meglio di sole donne, in tempi in cui la parola separatismo era ancora di là da venire…

Quindi l’Udi che ho conosciuto è anche quella che ho ereditato dalle donne della Sinistra: donne che hanno opposto ai tanti compagni, padri, mariti e figli della sinistra la loro originale lettura della realtà.

Lavorando con le donne, imparando ad ascoltarle e facendone il vero punto di riferimento, le donne dell’Udi, hanno ridisegnato, nel corso degli anni, la fisionomia dell’Associazione in modo sempre più originale e sempre più corrispondente a bisogni propri.

Arriviamo così in ordine cronologico alla seconda origine dell’Udi: quella del 1982. Dopo un abbondante decennio dal momento in cui il femminismo fa la sua comparsa in Italia, l’Udi si rende conto che esso va oltre il movimento e che è un sentimento diffuso tra le donne, tutte le donne. La politica non è più appannaggio di quelle allevate nelle sezioni o nei gruppi. La politica delle donne poteva – e doveva – permettersi un respiro più ampio. Per questo l’Udi trova lo scatto necessario per investire sulle donne.

E con l’XI Congresso – tra il 1981 e il 1982 – l’Udi rimette in discussione la propria organizzazione e passa nelle mani delle donne che venivano da quel sentimento la responsabilità dei beni, delle sedi e della sua politica. Fu un atto molto discusso, basta leggere “Noi Donne” di quel tempo, ma tutte quelle che rimasero lo assunsero e nessuna oggi tornerebbe indietro sulla libertà che da quel Congresso è venuta a ciascuna sede, gruppo o singola donna dell’Udi.

Tutto questo avveniva sotto gli occhi perplessi delle femministe, perché la decisione di azzerare l’organizzazione – ma non l’Associazione, sia chiaro – arrivava in un momento in cui cominciava la fase discendente della parabola del femminismo.

Molte ci trovarono ancora una volta fuori tempo, fuori moda. A partire da quella libertà e dalle diverse pratiche politiche che abbiamo sperimentato in questi anni, nel 2000 abbiamo intrapreso un cammino verso una organizzazione a nostra misura. Anche questa scelta è stata vissuta all’inizio, in una parte dell’Udi ma anche da altre, come fuori tempo e fuori moda. Trovo invece che per rimanere fedeli e coerenti con quell’investimento che altre donne avevano fatto nei nostri confronti, le donne della mia generazione avevano l’obbligo di esporsi e di ritessere i fili di una nuova organizzazione, adeguata alle donne che siamo oggi. Personalmente il mio è stato un atto d’amore e un riconoscimento verso quelle donne e verso quell’origine.

Tale origine, tutta femminile, è ignorata, come viene ignorata la politica che ne è scaturita perché l’Udi, rompendo con un modello organizzativo, in realtà si rende inaccessibile a qualsiasi ingerenza esterna e rompe con l’idea che essere a sinistra significa essere automaticamente dalla parte delle donne.

Da quel congresso in poi, non abbiamo avuto vere e proprie forme di rappresentanza, nessuna poteva parlare a nome dell’Udi – prendere posizione – se non attraverso o dentro l’Assemblea nazionale autoconvocata.

Con il XIV Congresso, 2002-2003, questa fase della nostra storia si è conclusa e abbiamo deciso di ripensare la nostra visibilità. Il primo passaggio è stato quello di ripensare la dimensione nazionale dell’Udi e rappresentarla. Il cardine del nostro pensiero è stato ancora una volta il corpo, il corpo inerme delle donne e dei bambini, il corpo violentato e quello torturato, la misura per avere parola su quanto accade nel mondo e alle donne di oggi. La nostra azione politica è stata ripensata in virtù di due soggetti nuovi che avanzano e che occupano la scena della politica: le donne giovani e le immigrate. Rispetto alle giovani, ci siamo rese conto che conquiste come, per esempio, la contraccezione e il diritto di interrompere volontariamente la gravidanza, sono percepite da loro in maniera molto diversa da come le abbiamo pensate e volute noi.

Per capire dove sono le ragazze, dobbiamo restituire alla nostra politica anche la dimensione della socialità perché ci rimette in gioco, non solo tra noi che abbiamo una certa età e tanta storia alle spalle, ma perché consente alle più giovani attraverso rapporti vissuti di entrare a far parte di una storia che sembra tanto lontana.

Quello che le ragazze non valutano fino in fondo è che sono libere grazie alle lotte delle donne che le hanno precedute; e anche quando questo riconoscimento avviene, non si è consapevoli che però questa storia si può anche interrompere, si può modificare, si può tornare indietro.

E si torna indietro certamente se non coinvolgiamo le donne straniere nei processi di cittadinanza. Se noi siamo cittadine a metà, loro sono invisibili come cittadine e a disposizione come corpi da sfruttare in tanti modi, grazie anche al nostro silenzio.

La nostra storia è ormai così strettamente collegata ai diritti e alla libertà di queste donne, da averci determinate, all’ultimo congresso, a trasformare per Statuto la declinazione dell’acronimo Udi dall’originario Unione Donne Italiane in quello attuale di Unione Donne in Italia.

Pina Nuzzo

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