“Come possiamo aiutare un’altra donna a rompere il suo silenzio?”

 

staffetta Venezia

25 novembre con le parole di Adrienne Rich, scrittrice e poeta femminista che ha scritto parole non convenzionali sulla condizione delle donne, sull’onore, sulla menzogna, sui rapporti tra i sessi e su molto altro. Lo ha fatto con un linguaggio che, per la sua originalità e per il suo acume, è profondamente radicale. Noi  abbiamo isolato alcune frasi. Lo abbiamo fatto per varie ragioni.

Intanto, perché molte parole delle femministe  sono state o dimenticate oppure ritenute superate, e invece sono ancora molto attuali. Poi, c’è una ragione più profonda. Alla radice di molte violenze ci sono questioni culturali, legate ai rapporti tra i generi che spesso, soprattutto quando siamo immersi nell’orrore di eventi crudeli come quelli di Aisha, tendiamo senza volerlo a sottovalutare. Oppure, peggio, alcuni fatti vengono liquidati come barbarie e inciviltà lontane dal nostro modo di vivere progredito e occidentale.

Noi pensiamo che ci sono situazioni, che pure nella diversità di forme con cui vengono affrontate, dalla lapidazione al marchio d’infamia alla vergogna all’isolamento, hanno comunque e ovunque lo stesso segno. E allora, pensiamo che accanto all’orrore e alla condanna che vede uniti oggi donne e anche uomini, occorre dire con forza alcune cose che forse possono apparire datate nella forma – come nel caso delle parole di Adrienne Rich – ma sono ancora valide nella sostanza, sono soprattutto dirompenti, perché svelano la radice di ogni violenza.

Perché è questo quello che ci preme, dopo la condanna. Noi vogliamo evitare la violenza. Vogliamo che essa sia cancellata dalla faccia della Terra. Non vogliamo soprattutto che, nella testa dei nostri figli e delle nostre figlie, la violenza, in qualunque forma si esplichi, venga pensata come uno degli aspetti ineliminabili dai rapporti tra le persone, come purtroppo può accadere quando alcuni “fenomeni”, da frequenti diventano “normali”. Per combattere la violenza non occorre solo la condanna degli episodi più efferati. E certamente non servono leggi penali più severe, come alcuni vorrebbero. Occorre soprattutto che  prendiamo più fiducia in noi stesse e nel nostro genere, che si moltiplichino ovunque, in Italia come in ogni angolo del mondo, le occasioni per parlare di questo e per far sì che le donne non siano né sole né isolate. Perché all’origine di ogni violenza, anche di quella che hanno patito Lorena, Hina e  Aisha ci sono la solitudine, la colpevolizzazione, la riduzione a corpi inermi privi di ogni cittadinanza, privi di ogni  diritto umano. Questa consapevolezza, per noi che siamo qui, è profonda e forte e non è solo una adesione emotiva a ciò che accade ovunque nel mondo.

STAFFETTA DI DONNE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

Testo a cura dell’Udi da leggere a Niscemi e in ogni luogo gemellato, nella giornata del 25 novembre 2008

Ieri Lorena. E Hiina Salem. Oggi Aisha. Legate da un unico segno, che ha deciso la loro morte. Aisha stuprata, Aisha che chiede giustizia, Aisha che non vuole mentire, Aisha che per questo – e non perché adultera – viene lapidata. Ecco che all’improvviso le tante parole che abbiamo detto sul femminicidio oggi ci sembrano troppe. O troppo poche. Chiediamo aiuto ad Adrienne Rich. Con parole che lei ha scritto più di 30 anni fa. Lorena, Hina e Aisha non erano ancora nate. Ma come Lorena, Hina e Aisha tante donne erano già state tolte a se stesse.

“… Se noi riusciremo, con le nostre parole, a rompere silenzi storici, liberando noi stesse dai nostri problemi, questo sarà già un nuovo modo di agire.
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In che modo ascoltiamo? Come possiamo aiutare un’altra donna a rompere il suo silenzio?
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La vecchia, maschile, idea di onore. La “parola” di un uomo – ad altri uomini – è garanzia sufficiente.
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L’onore maschile ha qualcosa a che fare con l’uccisione.
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L’onore maschile come qualcosa che bisogna vendicare: da cui, il duello.
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L’onore delle donne, in ogni modo, qualcos’altro: la verginità, la castità, la fedeltà al marito. L’onestà nelle donne non ha mai avuto molto peso.
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E siamo state premiate per aver mentito.
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La sincerità non è mai stata importante per una donna, a patto che si mantenesse fisicamente fedele ad un uomo, oppure casta.
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Per noi era naturale mentire con i nostri corpi: decolorando o tingendo, stirando o arricciando i nostri capelli; strappando le sopracciglia, rasando le ascelle, imbottendoci in dati luoghi, o imprigionandoci in corsetti, camminando a passi brevi, mettendo lo smalto alle unghie delle mani e dei piedi, indossando indumenti che esaltano la nostra debolezza. “

Perpetuando le mutilazioni dei genitali femminili e ogni perversa deformazione del corpo.
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“Ci è stato chiesto di mentire in diversi modi, a seconda delle occasioni e di ciò che gli uomini volevano sentire.
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Ci hanno negato la verità dei nostri corpi, alterandola.
Siamo state tenute nell’ignoranza delle nostre zone più segrete.
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La menzogna del “matrimonio felice”, la vita domestica – siamo state complici, abbiamo recitato la parte di una vita ben spesa, fino al giorno in cui siamo andate in tribunale a testimoniare stupri, violenze fisiche, crudeltà psichiche, umiliazioni pubbliche e private.
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Contro di noi, il reato di falsa testimonianza.
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E dunque dobbiamo considerare seriamente la questione della sincerità tra donne, della sincerità verso le donne.
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Nella lotta per la vita, mentiamo. Ai capi, ai carcerieri, alla polizia, agli uomini che hanno potere su di noi, che legalmente possiedono noi e i nostri figli, agli amanti che hanno bisogno di noi come prova della propria virilità.
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Noi comunque abbiamo verso noi stesse un obbligo: di non indebolire il reciproco senso della realtà per amor di convenienza, di non fare vittime di noi stesse.
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Le donne che sono rimaste fedeli alla verità della propria esperienza, hanno spesso rischiato la pazzia.
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Il nostro futuro risiede nel nostro equilibrio individuale.
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Il semplice fatto di dividere un’oppressione non costituisce un mondo comune.
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Il femminismo inizia con la consapevolezza di essere donna, ma non si esaurisce in essa. Non termina neppure con lo scoprire le ragioni della propria rabbia, o della volontà di cambiar vita, di riprendere a studiare, di rompere un matrimonio (sebbene, in ogni singola vita, tali decisioni possano essere di grande importanza e richiedere un grande coraggio).
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Ci vuole più del nostro talento individuale e della nostra intelligenza per procedere, con gli atti e col pensiero, nel mondo comune degli uomini e nelle professioni.
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Siamo state invitate a separare il “personale” (la nostra intera esistenza di donne) dal “colto” o “professionale”.
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Lavorando fianco a fianco, tessendo con pazienza le nostre reti anche dentro le istituzioni patriarcali, noi donne possiamo mettere a confronto i problemi dei rapporti con le madri che ci hanno generato, con le sorelle costrette a dividere con noi il mondo, con le figlie che amiamo e temiamo.
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Possiamo anche sfidarci, o ispirarci a vicenda, gettare luce sulle zone oscure, accompagnare e incoraggiare il doloroso formarsi delle nostre intuizioni.
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In primo luogo dobbiamo prenderci sul serio.
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(Dobbiamo) riconoscere le fondamentali responsabilità che ogni donna ha verso di sé, senza le quali rimarremmo sempre l’Altra, la definita, l’oggetto, la vittima.
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(Dobbiamo) essere convinte (…) del valore e del significato dell’esperienza, delle tradizioni e delle intuizioni femminili. Considerandoci per quello che siamo, non più come dei ragazzi, né come esseri neutri, o androgini, ma come donne.
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Se esiste un concetto errato è proprio quello “dell’istruzione” mista: coltivare la convinzione che uomini e donne stiano ricevendo lo stesso tipo di istruzione, solo per il fatto che siedono nelle stesse aule, ascoltano le stesse lezioni, leggono gli stessi testi ed eseguono identici esperimenti di laboratorio.
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Uomini e donne non ricevono un’educazione uguale per il semplice fatto che appena fuori dalle aule, le donne vengono considerate prede, non esseri sovrani.
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Più subdolo e frequente dello stupro è l’abuso verbale che colpisce quotidianamente le donne.
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Infine, lo stupro della mente. La maggior parte delle giovani donne prova una profonda umiliazione quando si trova ad essere oggetto di seduzione da parte di uomini che hanno il potere di dare voti, di raccomandare e dare accesso alle scuole superiori, o di offrire una cultura e una preparazione specialistiche.
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Questi atteggiamenti, anche se respinti, non sono altro che stupri mentali, e tendono a distruggere l’ego di una donna. Sono atti di dominio, altrettanto spregevoli quanto le molestie di un padre verso una figlia.
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La capacità di pensare autonomamente, di assumersi rischi intellettuali, di imporsi culturalmente è inscindibile dal nostro modo fisico di stare al mondo, dal nostro senso di integrità personale.
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Guardate una classe: osservate le mille differenze dei visi delle donne, le loro posizioni, e le loro espressioni. Ascoltate le voci delle donne. Ascoltate i silenzi, le domande non formulate, i vuoti. Ascoltate le piccole voci che spesso coraggiosamente tentano di prendere la parola, voci di donne cui è stato insegnato nell’infanzia che i toni decisi, di sfida, di rabbia o di arroganza sono poco armonici e non femminili.
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Guardate la faccia di chi sta zitta e di quella che parla.
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Ascoltate una donna che sta cercando un linguaggio adatto per esprimere i propri pensieri, una donna cosciente che il proprio linguaggio non può essere quello strutturato dal discorso accademico, e quindi tenta di adattare il suo pensiero ad una dimensione di discorso non previsto (in quanto non sta bene che una donna parli in pubblico) o che legge i suoi appunti ad una velocità supersonica, mangiandosi le parole e sacrificando così il proprio lavoro a un pregiudizio: Non merito di polarizzare tempo e spazio su di me.
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Non è facile pensare femminilmente in un mondo maschile, nel mondo della competizione.
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Pensare come donne (…) significa ricordare che ogni intelletto abita in un corpo; significa conservare la responsabilità dei corpi femminili in cui viviamo; e la verifica costante delle ipotesi con le esperienze vissute.
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Significa una costante critica del linguaggio.
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E significa la cosa forse più difficile di tutte: cercare nell’arte e nella letteratura, nelle scienze sociali e in ogni descrizione che ci è stata offerta del mondo, i silenzi, le assenze, l’inesprimibile, il taciuto, il non catalogato, perché è lì che troveremo la vera cultura delle donne.
*
Rompendo quei silenzi, chiamandoci per nome, scoprendo le realtà nascoste, incominceremo a tracciare i contorni di una realtà che risuonerà per noi, che sarà testimone del nostro essere: vale a dire, iniziare ad assumerci il peso delle nostre esistenze.”

Da Women and Honor: Some Notes on Lying (Donne e onore: brevi note sul mentire) di Adrienne Rich, 1975

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foto della Staffetta di Venezia

2 pensieri su ““Come possiamo aiutare un’altra donna a rompere il suo silenzio?”

  1. Pingback: #25novembre tutto l’anno | Nuvolette di pensieri

  2. “Possiamo anche sfidarci, o ispirarci a vicenda, gettare luce sulle zone oscure, accompagnare e incoraggiare il doloroso formarsi delle nostre intuizioni”. Adrienne Rich, 1975

    A voi
    era emersa sullo sfondo
    appena pochi tratti
    ma lieve e persistente come un’anima,
    quasi un’isola sorda ad ogni volto,
    avrei incollato le mie mani alle vostre
    e portato alla bocca i vostri tiepidi polsi
    ma ci sentivamo solo con il respiro,
    nella pazienza per me che avevo dimenticato il ritorno
    (Nicoletta Nuzzo da Amata voce)

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