2010: Un orizzonte altro

Pesaro, Assemblea nazionale autoconvocata, 30/31 gennaio 2010, Relazione fine mandato di Pina Nuzzo, Delegata alla Sede nazionale

La Staffetta mi ha rivelato qualcosa che con la Campagna 50E50 avevo solo intuito. Alla domanda di partecipazione e di rappresentazione nazionale – a volte ancora indistinta – che le donne fanno all’Udi si accompagna il desiderio di esserci e di contare. Desiderio di rappresentanza. Ho visto crescere l’ambizione femminile al punto da metterla al centro della Scuola politica di quest’anno. Che ti sei messa in testa? Era un modo per dire che l’Udi riconosce come legittima l’ambizione di una donna, l’accoglie, la valorizza. La vede.

Certo, l’ambizione non può diventare pretesa, non può ignorare la genealogia e la disparità. Ma non possiamo dire solo dei no, bisogna smetterla di mettere in atto delle interdizioni, perché questo induce le più giovani a vivere le altre come eterne moderatrici o delle insegnanti che si mettono in cattedra. Cosa manca? Qual è il bisogno? E cosa c’è che ancora non vediamo?

Me lo chiedo quando sento parlare alcune donne giovani della loro vita e usare il termine precarietà per indicare una condizione sociale, lavorativa, economica, mi verrebbe da dire esistenziale. Precario sembra essere diventato tutto, al punto che non ci consentiamo nulla altro che la denuncia della precarietà.

Negli incontri avviati dopo l’ultima Scuola politica – i 5finesettimanadipolitica –  nell’ascoltare le più giovani parlare della proprie aspirazioni con rassegnazione o con un profondo senso di solitudine, mi chiedo, a questo punto, se il futuro è veramente finito e noi, tutte noi, ed io cosa posso fare. E le domande che mi pongo sono molte.

Perché io riuscivo a vedere nelle discontinuità o nelle incongruenze della mia vita un guadagno e non trovavo indecente che le mie scelte non fossero subordinate agli esiti?  E perché oggi così tante donne si sentono oppresse tanto da quello che hanno che da quello che non hanno? Quando in automatico mi viene da rispondere che bisogna partire da sé, già mentre lo dico mi pare una petizione di principio, un assunto che ormai sembra soprattutto uno slogan. Oggi non sarei più disposta ad un partire da sé di giovanile memoria, quella fase è ormai definitivamente alle mie spalle. Quel cerchio magico che ci ha unite e che si chiamava  “femminismo” non c’è più, noi stesse lo abbiamo sciolto.

Cos’è rimasto? La passione della politica. E’ anche finita la fase dell’essere contro: contro la società maschilista e contro i maschi, che ci ha tenuto unite, dandoci fiato e parola. Oggi che siamo adulte, dobbiamo distinguere tra i vantaggi di una democrazia che ci vede ancora troppo poco protagoniste e le tante trappole che la cultura ci costruisce addosso. E mi appassiona ancora capire quale rapporto, a partire dalla politica, le donne possono stabilire tra loro, adesso.

La nostra forza è stata spostare impietosamente l’asse della discussione dalla strettoia ideologica, come è accaduto per l’aborto,  per ricondurla alla verità delle vite e dei corpi. Ho sempre avvertito come impellente la necessità di uscire dal “dover essere femminista” o dall’ovvietà di uno schieramento per vedere, invece, cosa è cambiato intorno a me, per riconoscere nella politica di oggi i segni con cui le donne vengono negate e disconosciute. Ho imparato a guardare in modo disincantato a chi si autopromuove paladino delle donne, ma si guarda bene dal cambiare le regole del gioco che rimangono saldamente in mani maschili. Certo a noi resta la difficoltà di rappresentarsi senza uno sfondo o ancora peggio con la paura di essere spiaccicate su uno sfondo irriconoscibile.

Questo sfondo, questo orizzonte, noi dobbiamo dirlo. Dobbiamo dire lo scenario, ed è un orizzonte spaziale, che non dimentica la storia e i percorsi; dobbiamo dire l’obiettivo, ed è un orizzonte anche temporale, che non può però prescindere dalla realtà degli spazi che ci consentiamo ogni volta. Spazi: penso che la democrazia sia ancora l’unica forma di civiltà praticabile per le donne. E diffido delle “altre culture” soprattutto quando si intrecciano tra loro nel cosiddetto multiculturalismo a prescindere dalle vite e dai corpi delle donne, perché vuole dire solo una cosa, sempre: che i maschi di tutte le culture tendono ad accordarsi tra loro, passando sui corpi delle donne.

Penso allora che il partire da sé possa avere un senso solo se e quando viene inscritto in uno scenario collettivo, non dico ancora comune, non lo dico solidale ma collettivo, condiviso o almeno condivisibile. Scenario compreso a sua volta dentro un orizzonte, quello della democrazia. Ma a volte è proprio il concetto stesso di democrazia che non ci fa vedere il futuro, perché da una parte sappiamo che essa rappresenta il meglio per una convivenza civile, ma sappiamo anche che questo “meglio” si fonda ancora su un solo soggetto, presunto neutro, quello maschile. Le donne, anche le più capaci e meritevoli in questa democrazia, vengono continuamente messe al loro posto, disconoscendo il loro operato, offendendole, con atteggiamenti di ostilità. Alle donne è consentita la marginalità, e la stessa cooptazione ne è la riprova.

Anche la frase “io voglio tutto” per una donna rischia di incarnare solo una somma di tutti gli stereotipi.  Dentro questa mancanza di orizzonte ci sto anche io che dopo tanta politica mi tocca di capire perché andare avanti. Ho trovato la mia risposta nella democrazia duale.Dico duale e non paritaria solo per essere meglio compresa.Non perché i contenuti della Campagna e del nostro Progetto di legge sulla democrazia paritaria siano superati o differenti. Dico duale, per non avvallare l’ennesimo equivoco che vede nella parità il superamento di un’ovvia disparità. Abbiamo usato il termine democrazia paritaria per indicare che dovevamo essere in condizione di misurarci alla pari, ma non abbiamo mai detto che siamo pari.  Noi siamo differenti e siamo due, donne e uomini.

Su questa dualità va ripensata la democrazia. Per molto tempo abbiamo creduto che si potessero operare degli aggiustamenti. E sia chiaro, non parlo delle quote, che sono solo – almeno in Italia – la faccia perversa del peggiore aggiustamento. Parlo anche e soprattutto di altro, parlo di un modo di concepire la pratica politica.Tenere fuori le donne dalle decisioni che ci riguardano tutti in quanto umani pesa su questa nostra modernità così misera. Con sempre più forza e con sempre maggiore chiarezza è necessario prendere le distanze da quello che si può definire il “nuovo neutro”, da quel modo politicamente corretto di leggere la realtà che annulla le differenze negando i conflitti, come se riconoscere le diverse esperienze, diverse anche per i sessi, non fosse il vero guadagno per tutti.

La lingua stessa, lo abbiamo detto sempre fin dalla Campagna 50E50, indica con evidenza come la realtà può essere deformata. Si fanno leggi dove il termine “coniugi” rimanda a una idea di condivisione che, in caso di conflitto, risulta falsa, scatenando guerre in nome dei figli. Quando si fanno sparire i generi dalle relazioni, in particolare dal matrimonio, noi eliminiamo automaticamente la divisione dei ruoli e  si espelle dal rapporto a due, di un uomo e di una donna, la titolarità del generare che è, ancora, delle donne. Pur occupandoci di gravidanza e di bambini – pur avendo cura di tutto questo e per tutto questo –  non siamo ancora capaci di assumere pienamente la  responsabilità verso il nostro corpo fertile, che concepisca o no, che partorisca o no, perché se lo vedessimo in tutta la sua potenza sapremmo che non ci si può chiamare fuori dall’esercizio del potere.

In fondo, cos’è stata e cos’è ancora oggi la 194 – anche oggi che da più parti veniamo sollecitate alla sua difesa – cos’è la 194 se non un aggiustamento sulla impossibilità delle donne di autodeterminare la propria fertilità? Abbiamo lottato per NON morire di aborto clandestino e per poter decidere quando NON fare figli. Abbiamo anche avuto gli anticoncezionali e tutti i sensi di colpa per le decisioni che ci sentiamo costrette a prendere. La libertà di decidere quando e se fare figli, che ci siamo duramente conquistate, ci viene spesso rinfacciata perché chi ha consuetudine con il potere sa che poter decidere di sé è il primo passo per stare nel mondo con signoria e ovunque si decide.

Io non ho avuto il tempo di desiderare un figlio, sono rimasta incinta come capitava alle donne della mia età e guardo oggi con una certa invidia a donne giovani, ma che la medicina definisce “primipare attempate”, che desiderano un figlio. Donne però per le quali è sempre più difficile rimanere incinte perché il corpo ha tempi suoi. Mi tornano in mente altre parole di questa Assemblea e un manifesto dell’8 marzo 2005:  La precarietà  rende sterili! E mi chiedo: cosa si prova a desiderare un figlio?

Allora capisco che io e queste donne siamo speculari, ingabbiate in una organizzazione sociale che vede nella maternità un puro accessorio del femminile. Io mi sono autodeterminata sulla difensiva, le donne a cui penso e che si sottopongono alla medicina per fare figli sono vittime dell’idea progressiva della nostra civiltà.  Una idea tutta maschile che permea la società e la stessa politica.

Questa società in cui viviamo e che non prevede discontinuità e che non rispetta i corpi. Che propaganda un’idea di prolungamento della vita fertile presentato come moderno e laico. E che però contiene in sé vischiosità e pericoli che noi abbiamo già denunciato nel 2005, in quel Convegno Generare oggi, tra precarietà e futuro”, perché è comunque un’idea del femminile – uno dei tanti stereotipi – un pensiero che lascia alle chiese, alle religioni né più né meno che alla stessa scienza medica l’appannaggio anche dei nostri corpi, dei quali ci viene detto costantemente, ossessivamente come devono essere, comportarsi, vestire, camminare per il mondo.

Come sarebbe il mondo se la differenza e il corpo fertile delle donne fossero a fondamento di una democrazia? Come sarebbe la nostra vita nel nostro paese, se una donna potesse fare un figlio quando lo decide e questa decisione fosse accolta e sostenuta mentre studia, lavora, fa politica, altro? E non sto parlando di utopia perché in alcuni paesi europei  già avviene, hanno realizzato forme di Welfare che rendono possibile tutto questo.Come sarebbe la vita di donne mature, se in tanti la smettessero di predicare tutele a buon mercato sulla pensione come su altro, e cominciassimo veramente a dirci le cose come stanno, veramente, sul lavoro, come su altro? Ebbene, la democrazia duale è l’unico orizzonte possibile che mi permette di immaginare di nuovo il mondo, la politica, e di lavorare per qualcosa che con tutta probabilità non riuscirò a vedere. Però, avere contribuito alla sua costruzione mi pacifica.

Cosa è accaduto in questi 10 anni. 

Abbiamo cominciato nel 2000 un cammino verso un’organizzazione a nostra misura  perché volevamo prepararci a nuove stagioni, nuove battaglie e nuove lotte.Ci siamo lasciate nell’Aprile del 2003 con un impegno: un patto per dire noi dove ognuna ha già imparato a dire io. Queste erano le parole d’ordine della terza tappa, quella conclusiva, del XIV Congresso.  Congresso che si è sviluppato in un percorso con due modalità contemporanee e parallele, che si sono ricongiunte nel  momento finale. Una è stata il Censimento dell’UDI avviato, appunto, nel 2000 e l’altra le due Assemblee Nazionali Autoconvocate. Nella prima Autoconvocazione congressuale che si è tenuta a Roma nel novembre 2002 avevamo messo a tema fare politica, abitare la democrazia, vivere in pace, nella seconda a Modena nel febbraio 2003 passaggi di cittadinanza tra generazioni di donne.

Metto in fila date e parole d’ordine, per ricordare a chi c’era e per dire a chi non c’era i passaggi che si sono resi necessari per arrivare a formulare l’idea di un patto tra noi. Con determinazione e con pazienza abbiamo ritessuto i fili dell’Associazione, consapevoli che non si trattava di un puro esercizio organizzativo, ma di incardinare il partire da sé nel tempo che viviamo, con le donne che siamo diventate, con quelle che qui sono arrivate da altri paesi. E abbiamo modificato la declinazione del nostro acronimo: Unione Donne in Italia.

Ho vissuto la fase che ha portato al XIV Congresso e alla sua attuazione in questi anni avendo la responsabilità della Sede nazionale dell’Udi, che mi ero assunta e che mi era stata confermata. Questo ha voluto dire, prima di tutto, avere con la sede un rapporto quotidiano, continuato. Per un lungo periodo mettere ordine, dare un senso agli spazi, immaginare il loro uso, e stata l’unica forma di vitalità della sede nazionale dell’Udi. Ho pulito, spostato mobili, recuperato carte. Facevo spazio e ancora non sapevo per cosa. Mi pareva di vivere dentro una nebulosa, oppressa da tanta storia e intimorita all’idea di confrontarmi con essa. Ma ero ormai troppo avanti con gli anni per perdere tempo, mi sono autorizzata a leggere la realtà e a dare delle risposte.

Ho preso in mano una sede che aveva un Archivio sì ordinato, ma anche morto perché nessuna era lì per aprire al pubblico. Ho preso in mano una sede che aveva un computer  obsoleto e con strumenti ormai non funzionanti come la fotocopiatrice, per non parlare di adsl o cose del genere. Ho preso in mano una sede che aveva il pagamento degli affitti in arretrato e che sopravviveva grazie alla generosità di alcune Udi. Chi oggi tra voi crederebbe che, quando ho cominciato, l’Udi nazionale non aveva un indirizzario? Passavo le giornate a cercare di capire da che parte iniziare in una città che non era la mia e non facendo parte di nessun ceto politico e sociale.

Ho cominciato a telefonare, a chiedere e a rendermi conto che molte non aprivano la posta o la guardavano distrattamente. Tale atteggiamento derivava dall’abitudine a ricevere lettere dalla Sede nazionale che non prevedevano risposta, se non per prenotare i calendari. Sono stata paziente per colmare la distanza che si era creata, ma anche determinata a non ripetere errori del passato che conoscevo bene. Tipo, per intenderci: essere scambiata per il nuovo servizio dell’Udi.

L’aspetto più interessante del mio mandato riguarda tutto il lavoro che ho fatto per far circolare le informazioni e per mettere in comunicazione le donne. Sapendo che uno dei vizi dell’associazione era di avere una responsabile, anche di un gruppo di sole cinque donne, che requisisce l’Udi, funzionando da ostacolo anziché da tramite nella comunicazione.  La telematica mi ha dato una mano, perché ha fatto scavalcare molti steccati e ha permesso una comunicazione veloce, documentabile, che lievitando ha modificato la percezione dell’Associazione. Anche oltre l’Associazione. Le donne che sono arrivate all’Udi attraverso la posta elettronica, oltre al desiderio di essere informate, speravano di trovare nell’Udi l’occasione di incontro reale con le altre. Così è stato.

Molte giovani donne si sono avvicinate all’Udi per consultare l’Archivio Centrale per una tesi o per una ricerca, ma non ci voleva una volpe per capire quello che ci mettono un po’ a svelare e cioè: il desiderio di incontrare altre donne.  Da allora, ho aperto il portone di via dell’Arco di Parma, pensando che la consultazione dell’Archivio è anche un pretesto, è anche uno strumento per colmare il divario con le nuove generazioni.Le carte, i manifesti hanno funzionato tra me e loro come mediazione per conoscerci e per parlarci. Per lasciare loro il tempo di guardarsi intorno e di decidere che cosa le appassiona.

Sono stata accogliente, senza essere materna. Sono stata vicina, senza fingere di essere o di pensare come loro.

Così al 30 gennaio 2010, posso dire con una certa personale soddisfazione, che abbiamo una Sede nazionale funzionante, ospitale e prestigiosa. Sede che è in grado di rispondere alle necessità organizzative della politica nazionale che facciamo, Campagne comprese, grazie ad una presenza fluida di donne diverse. Sede che sostiene la vita ordinaria dell’Associazione occupandosi del tesseramento, del calendario, dell’8 marzo. Sede che è abitata da donne capaci  che hanno messo  a disposizione  tempo, passione ed entusiasmo. Queste donne condividono con me la gestione quotidiana, ognuna di loro ha compiti e responsabilità precise che definiamo di volta in volta insieme.  Accettarsi e  rispettarsi è stato un atto di volontà politica dettato dal comune interesse, potrei dire amore, per l’Udi.

Se oggi abbiamo i conti in ordine, se abbiamo un Archivio che può essere consultato,se possiamo fare ricerche a distanza,se sappiamo indicare agli studenti da che parte cominciare una consultazione, se abbiamo chi vigila sui faldoni, se disponiamo di una biblioteca in ordine, se possiamo permetterci di avviare un tesseramento rigoroso, se possiamo spedire con premura e celermente i calendari, i manifesti, le tessere, se io stessa posso delegare compiti che per lungo tempo sono stati solo miei,  tutto questo lo devo – noi tutte tutto questo lo dobbiamo –  a Silvana Casellato, a Claudia Mattia, a Fabiola Pala.  Che non sono le segretarie dell’UDI o l’ennesimo servizio, ma delle dirigenti, e questo vale anche per altre. E a queste donne fanno da sponda altre ancora su tutto il territorio che hanno competenza ed esperienza – o anche solo passione –  e che rappresentano la linfa di questo nostro processo di rinnovamento.

Penso ad Enza Miceli che è stata – ed è – preziosa per diversi progetti nazionali pur vivendo nel Salento: la Scuola di politica, la Campagna 50E50, la realizzazione di striscioni e di bandiere; la Staffetta, l’archiviazione paziente delle foto che ha permesso la realizzazione del Calendario di quest’anno e il video con il viaggio dell’Anfora e la Manifestazione di Brescia, che possiamo vedere e acquistare oggi.

Penso a Laura Piretti dell’Udi di Modena che ha una sapienza sui temi relativi alla salute della donna fondamentale per i progetti nazionali che abbiamo intrapreso e che continueremo a portare avanti.

Penso ad Antonella Pompilio e all’Udi di Pesaro che dal 2005 si occupano della mostra itinerante Donne Manifeste: ne curano  la manutenzione, i rapporti con chi la richiede, compresi l’assicurazione e il trasporto. Al nazionale arrivano i contributi puliti.

Penso a Ingrid Colanicchia che segue su NoiDonne, senza nessun compenso, con rigore e professionalità le pagine autogestite dall’Udi da circa un anno e mezzo. (NoiDonne che, ci tengo a dirlo a chi è qui alla sua prima assemblea, non è più da moltissimi anni il giornale dell’Udi, ma è una testata gestita da una cooperativa )

Una testimonianza di questo modo diffuso sul territorio della dimensione nazionale è la Scuola politica dell’Udi  che si avvia verso verso la sua quinta edizione.Nata come un progetto della Sede nazionale Archivio centrale,  è diventata per tre edizioni il laboratorio politico delle donne che oggi sono l’Udi MacareSalento che per prime hanno dato corpo a questa idea; dopo un passaggio a Roma dove è stata avviata l’esperienza di incontri intermedi, per il prossimo settembre saranno le donne dell’Udi “25novembre2008” di Genova a misurarsi con questo progetto. E in futuro vedremo, ci sono già altre richieste.

Ancora una cosa sull’Archivio Centrale: l’attuale assetto della Sede ha permesso di chiamare delle donne per articolare un progetto di promozione intorno all’Archivio Centrale. Claudia Mattia resta la referente per la sua cura e la sua consultazione, con il contributo autorevole di Patrizia Gabriellidocente di Storia contemporanea e Storia di genere all’Università di Siena- Arezzo – che diventa la nostra consulente scientifica e coordinatrice del gruppo di donne. In questo contesto, l’Associazione Nazionale degli Archivi può diventare uno strumento prezioso per indicare agli archivi presenti sul territorio come lavorare insieme e in modo armonioso. Stiamo operando in accordo con la presidente dell’Associazione, Rosanna Galli, per costruire una progettualità che sia di vantaggio per tutte.

Sull’organizzazione dell’Udi. Un obiettivo del XIV Congresso era quello di avere regole condivise anche rispetto agli statuti locali e al tesseramento. Le Garanti si sono molto impegnate in questa direzione, tutte le garanti fino alle attuali che hanno preteso che i bilanci – preventivo e consuntivo – fossero presentati nei tempi e nei modi più corretti. Accogliendo queste sollecitazioni abbiamo avviato con il tesseramento 2010 un nuovo censimento con le schede di autopresentazione per affermare un principio di legalità e di trasparenza.

Anche perché la fisionomia dell’Udi è cambiata profondamente, è cambiato il modo di guardare da parte di ogni donna che opera in una realtà locale nei confronti del nazionale, sono cambiate le stesse aspettative che tante donne hanno oggi verso l’Udi. Le donne che sono l’Assemblea nazionale autoconvocata, ogni volta, hanno una responsabilità grande, che non ci viene certamente solo da alcune parole inserite in uno Statuto. Quella di individuare quell’orizzonte, i suoi contorni, le alleanze, le parole d’ordine, le modalità di un’azione politica che possa dirsi nazionale. Un’azione nella quale possa riconoscersi qualunque iscritta, anche quella che per i più vari motivi non può essere presente a un’assemblea.

La dimensione nazionale dell’Udi si è consolidata sulle Campagne che  ci hanno dato prestigio e autorevolezza, ma anche respiro e nuovo impulso alle Udi territoriali. La Staffetta, come già i Centri di raccolta per la Campagna 50E50, hanno evidenziato un modo nuovo di pensare la nostra politica perché non abbiamo irrigidito la nostra organizzazione per realizzarle, anzi, abbiamo mantenuto una forma agile.

Le Campagne sono state la mediazione per rinnovare le relazioni sul territorio tra l’Udi le altre Associazioni, le donne, le istituzioni: con regole che erano nazionali, uguali per tutte, semplici e chiare. Questa pratica va perseguita con maggiore chiarezza e lucidità, e va ridiscussa per capirne tutti gli aspetti. Anche da un punto di vista economico. Se la tessera rimane la forma di adesione primaria, aderire ad una Campagna dell’Udi con un atto formale potrebbe diventare –  per le associazioni che vogliono fare con noi un pezzo di strada e lo esplicitano –  un criterio per condividere un segmento della nostra politica. Ne potrebbero derivare inedite forme di gestione collettiva più partecipate e più rispondenti alla realtà.

Iscriversi all’Udi è una cosa. Aderire alle Campagne è un’altra. Iscriversi all’Udi, così come diffondere un Calendario, è un segno individuale di appartenenza e di adesione insieme, perchè consente all’Udi di sopportare tutte le spese necessarie per tenere in piedi una Sede nazionale e per essere l’Udi che siamo. Aderire a una campagna o a un qualsiasi progetto a termine dovrebbe comportare anche sul piano economico un gesto corrispondente senza aderire necessariamente all’Udi e a tutta la sua visione politica.

Dobbiamo lavorare solo per Campagne? L’esperienza ci dice che su questioni di un certo peso l’iniziativa politica – che si chiami campagna, che si chiami piattaforma, che si chiami interrogazione parlamentare, che si chiami proposta di legge – per diventare a tutti gli effetti nazionale deve essere, a un certo punto assunta dall’Assemblea nazionale autoconvocata. Che non significa, a mio giudizio, tornare indietro, ributtare tutto dentro l’Assemblea, per sconfessare o per inibire il protagonismo dei gruppi Udi o degli organismi dirigenti che ci siamo date. Ma ci dice che un’iniziativa politica deve, ad un certo punto, avere una verifica nell’Assemblea nazionale. E non significa neppure che gli organismi dirigenti si debbano moderare pensando di doversi adeguare alla mediocrità della dimensione collettiva. La decennale frequentazione dell’Autoconvocazione mi ha insegnato, soprattutto in questi anni in cui ho avuto la responsabilità di istruirla, che le donne dell’Udi sanno guardare avanti.

Sempre più spesso donne ci chiedono di costituire dei gruppi Udi, finora abbiamo dato fiducia e avviato esperienze sulle quali siamo poi dovute intervenire per operare aggiustamenti e per fare chiarezza su come utilizzare il nome dell’Associazione, anche da un punto di vista formale e legale. In alcuni casi si è trattato d’inesperienza, in altri c’è ancora l’idea che tra donne si può fare qualunque cosa indipendentemente da uno Statuto come da una pratica e da una tradizione consolidate. Per l’anno in corso vorrei agire con maggiore prudenza adottando la prassi di monitorare per un anno le donne che intendono costituire un gruppo Udi. Vorrei evitare situazioni spiacevoli da tanti punti di vista e rendere più agevole il percorso alle donne che vogliono farsi carico di tale incombenza. Una certa forma di tutoraggio lo svolgiamo già su richiesta di quelle responsabili che prima di prendere una iniziativa, che percepiscono come pericolosa per l’Associazione tutta, telefonano in Sede, chiedono e si confrontano.

E ci sono altri progetti che oggi dovranno essere discussi e messi a punto, la nostra azione contro gli stereotipi che va ben oltre la questione della pubblicità lesiva, il Comitato “Quando decidiamo noi” e cosa fare dell’Anfora. Tutte questioni aperte, sulle quali mi riservo di dire la mia durante il dibattito, che in genere,  è il momento più vivo delle nostre autoconvocazioni.

Oggi possiamo aprire il dibattito come abbiamo sempre fatto. Forti di quel patto. Possiamo procedere al rinnovo delle cariche. Così come possiamo, nelle forme modi e tempi che questa Assemblea deciderà, aprire la fase precongressuale. Insomma: possiamo discutere e prendere delle decisioni insieme in vista del nostro XV Congresso.

Dal resoconto

L’Assemblea nazionale autoconvocata dell’Udi è stata molto partecipata. Eravamo 97 donne provenienti dal nord e dal sud dell’Italia.Tutte noi ringraziamo le donne dell’Udi di Pesaro che sono state molto attente e ospitali, rendendo il nostro soggiorno non solo gradevole, ma in una situazione logistica che ha reso possibili scambi tra noi che sono andati anche oltre i momenti veri e propri dell’Assemblea. Sulla base dell’ordine dei lavori, l’Assemblea si è aperta con due relazioni scritte da parte di 2 donne del Coordinamento: la prima, letta da Katia Graziosi e sottoscritta anche da Carla Cantatore, Giovanna Crivelli e Anna Spina, le ultime due assenti dall’Assemblea; la seconda letta da Fabiola Pala e sottoscritta anche da Claudia Mattia e Enza Miceli. 

Sono seguite le relazioni delle garanti Silvana Casellato e Milena Carone.

La relazione della delegata Pina Nuzzo ha concluso i lavori della mattina di sabato 30. Tutte le relazioni sono allegate.

Alla ripresa, nel pomeriggio, ci sono stati contributi specifici come quelli di Laura Piretti e Ileana Alesso sui temi del Generare e sul Comitato Quando decidiamo noi che saranno inviati a parte per evidenziarne le proposte e di Claudia Mattia sui progetti relativi all’Archivio centrale.[…] Il dibattito è stato ricco di spunti e si è sviluppato intorno alla proposta formalizzata dalla delegata di avviare una fase precongressuale. Questo in ragione della crescita dell’Associazione che dopo le due Campagne – 50E50 e Staffetta – si deve misurare con  nuove presenze e con nuove domande.

Per questo, l’Assemblea ha deciso che sono maturi i tempi per indire il XV Congresso dell’UDI- Unione Donne in Italia. A tal fine ha deliberato la costituzione di un gruppo preparatorio. Secondo la prassi dell’associazione, e per consentire anche alle iscritte che non erano presenti all’Assemblea di parteciparvi, si stabilisce con grande anticipo una data per il primo incontro, dopo l’8 marzo. Chi deciderà di partecipare al gruppo saprà che si tratta di un impegno di lavoro di grande responsabilità. L’Assemblea ha proceduto al rinnovo delle cariche delle Garanti, eleggendole 2 donne che si sono autoproposte: Marta Tricarico e Pilar Mercanti. 

In chiusura dei lavori, sempre nella giornata di sabato, alcune iscritte hanno sollevato il problema se, anche alla presenza di un avvio della fase precongressuale con la costituzione del Gruppo Preparatorio, l’Assemblea dovesse procedere ugualmente al rinnovo del Coordinamento, sulla base delle norme statutarie.

A tal fine, è stato costituito un apposito Ufficio di Presidenza composto da Silvana Casellato, Ingrid Colanicchia, Lia Randi e Marta Tricarico. Alla ripresa dei lavori della domenica mattina, sono stati ammessi alcuni interventi brevi sul punto in questione e, a conclusione, Marta Tricarico a nome dell’Ufficio di presidenza ha chiarito che, a norma di Statuto, avendo l’Assemblea già deliberato di andare al Congresso con un Gruppo con funzioni di istruzione sia politica che organizzativa della fase precongressuale, ed essendo tra gli Organi Statutari il Congresso e l’Assemblea sovrani rispetto ad altri organi, la questione doveva intendersi risolta a monte, nel rispetto della continuità della nostra vita associativa. Si è proceduto quindi al rinnovo della carica di Delegata. La sola autoproposizione è stata quella di Pina Nuzzo, che ha inteso indicare in un intervento specifico sia le motivazioni sia le qualità di lavoro sulle quali chiedeva di procedersi alla votazione.

 Pina Nuzzo in sintesi, ha detto: “Mi autopropongo per portare a conclusione  il processo politico da me avviato e che vedrà nel XV Congresso i suoi sviluppi. E perché ognuna di voi, nel votarmi, sappia come ho lavorato e come intendo lavorare, torno su alcune questioni che in questi giorni sono state affrontate direttamente o in modo allusivo e su alcune decisioni  che non mi basta siano riconosciute come legittime in base allo statuto. Il XIV Congresso  ha valutato come necessario un Coordinamento, ma nel corso di questi anni, anche nei Coordinamenti precedenti è stato faticoso, a volte impossibile, trovare momenti di collegialità. Parlo a partire dal fatto che la Delegata fa parte d’ufficio del Coordinamento e che in questi anni sono mancata solo ad un incontro. Penso che le difficoltà che esso incontra siano dovute al modo con cui, attraverso l’autoproposizione e il voto, finisce per comporsi: un po’ di territorialità, un po’ di competenze, un po’ di novità. Se il Coordinamento fosse stato uno strumento adeguato si sarebbe presentato con una relazione in grado  di funzionare da catalizzatore per questa fase precongressuale. Se siamo andate alla costituzione di un gruppo preparatorio vuol dire che questa è la strada possibile e per quel che mi riguarda non vuol dire che nel gruppo si riproporranno questioni già risolte dall’Autoconvocazione.  

Un gruppo di questo genere si istruisce creando le condizioni perché funzioni, a partire dalle idee che verranno avanzate e dai  progetti che verranno realizzati. La Sede nazionale, nel suo attuale assetto, si fa carico della gestione ordinaria, della tenuta organizzativa per gli impegni in corso. In conclusione voglio dire che tutto quello che ho fatto in questi anni l’ho fatto con passione e con piacere, se ci sono stati momenti di fatica erano già nel conto, quindi non ho bisogno di essere risarcita o accudita. E sento di dovervi ringraziare tutte per avermi permesso di fare questa straordinaria esperienza.”

L’assemblea ha eletto Pina Nuzzo all’unanimità, con quattro astensioni, tra le quali quella della stessa Delegata. Le Garanti uscenti hanno di seguito esposto il bilancio consuntivo 2009 che è stato approvato all’unanimità. […] 

Cari saluti a tutte, Pina Nuzzo

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