XIV Congresso 2003, un patto per dire noi dove ognuna ha già imparato a dire io

Roma 12/13 Aprile 2003 casa internazionale delle donne

DOCUMENTO CONCLUSIVO

E’ l’intera storia dell’Udi, nata alla fine della seconda guerra mondiale, vissuta tutta dentro la storia di questo paese e sempre attraversata e scossa dalle vicende della vita e del pensiero delle donne, a produrre, una sensibilità acuta e uno scatto di responsabilità che chiedono forme nuove, adeguate, per fare politica, ripudiando la guerra.

La guerra è una sconfitta per tutti perché devasta la convivenza anche dove non cadono direttamente le bombe. Nella guerra il bilancio della vita è sempre in perdita per tutti, ma noi donne perdiamo di più proprio perché sulla vita, la sua cura e conservazione investiamo di più e perché la guerra cancella i soggetti, donne e uomini, piccoli e grandi.  L’Udi si rinnova nel momento di quella sconfitta di tutte e tutti che è la guerra: guerra come violenza sostitutiva della politica, come strumento di governo, come pena di morte. Ma vivere in pace è anche la libertà di intrecciare nel mondo relazioni tra donne, e tra donne e uomini, che sappiano comprenderlo, interpretarlo, governarlo nella speranza, nella giustizia, nella cura delle ferite, nella distribuzione di benessere. Abitiamo un mondo più grande di quello che sanno percorrere i nostri piedi, la pace è la strada che ci consente di valicare i confini che ancora rinchiudono i nostri pensieri. La pace è la condizione in cui vogliamo radicare il presente per poter crescere il futuro. Le nostre parole, il nostro sguardo differente sono legati al tema dei diritti umani, in particolare delle donne, che quasi sempre si accompagna alle scelte di pace. Ma la pace è solo assenza di guerra? Questo interrogativo è lo stesso di altre e altri che come noi si pongono il problema dei diritti dei singoli e dei popoli. Il nostro impegno sul tema della pace va speso per richiamare instancabilmente l’attenzione agli abusi sul corpo e la mente delle donne, alla schiavitù delle donne nel mondo, alla povertà che nega la libertà dei soggetti più deboli, facendo assumere ai governi il carico delle nostre parole. Vivere in pace è una nostra parola perché, se è vero che non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia se le donne non sono cittadine del mondo, titolari di diritti e di autodeterminazione.

Vivere in pace è soprattutto la capacità di gestire i conflitti che forse, quella sì, ha qualche cosa che ricorda le nostre abilità quotidiane e andrebbe insegnata e appresa. Non sempre noi, soprattutto nelle nostre famiglie, nei rapporti con i nostri compagni o con i figli, con le regole e le abitudini sociali, abbiamo potuto vivere in pace. Anche nelle società democratiche siamo state costrette a scegliere fra pace e giustizia, fra pace e diritti, si è trattato di scelte talvolta molto dolorose che però ci chiariscono i “nostri” significati della parola pace; per esempio non dover scegliere fra i diritti fondamentali. Pensiamo comunque che una associazione come l’Udi debba, anche sulla pace, spendere una propria ritrovata visibilità, promovendo azioni volte alla denuncia di situazioni di sfruttamento e violenza contro le donne e alla crescita della responsabilità e coscienza collettiva.

Dunque su questa nostra concezione di pace e conflitto possiamo di volta in volta essere presenti con le nostre parole nei momenti più diversi ma non collocarci, di fatto, da qualche parte.

L’Udi, con la sua passione per la democrazia, ha praticato una politica in cui le donne nell’esercitare i loro diritti di cittadinanza hanno preteso forme che fossero una garanzia per tutti. Per questo l’esercizio del diritto di cittadinanza ci porta a misurarci con la politica, con le istituzioni, con il governo, con tutti i luoghi dove si gioca la nostra presenza e anche come donne organizzate; ma il diritto di cittadinanza si esercita soprattutto nella vita di tutti i giorni, nelle relazioni personali, nella famiglia, nel lavoro, ovunque. La nostra pratica di cittadinanza ha evidenziato che non è possibile una “promozione” della donna nella società, non è possibile abitare realmente la democrazia se non si parte dalla coscienza e dalla necessità di gestire in pratica la nostra libertà. Occorre ripensare gli strumenti per darci una parola collettiva che sappia nominare la complessità delle nostre vite, non più scindibile dalla vita di donne di altri paesi. Possiamo forse ripartire – noi dell’Udi – dalla nostra intera esperienza passata, soffermandoci su un passaggio fondamentale: quello che, a partire dal Congresso del 1978, mette in discussione le forme dell’Udi istituzione e, mettendo l’accento sulle soggettività, favorisce una positiva contaminazione con il femminismo.

Con l’emergere delle soggettività, ci siamo date la libertà di esplicitare le diverse concezioni della politica e i conflitti che ne conseguono.

 Attraverso la sperimentazione di altre forme organizzative e politiche abbiamo saputo gestire quei conflitti, dare senso a un’appartenenza, conservare la memoria di noi, fare fronte alle esigenze quotidiane con nostre risorse.

La permanenza del nome Udi simboleggia tutto questo, ma non possiamo sottovalutare quello che abbiamo messo a rischio in termini di efficacia e di visibilità nei confronti di altre donne. Quindi oggi mettiamo a disposizione tutta la nostra esperienza, le nostre energie, le nostre sedi, per ascoltarci e per parlarci con donne di tutti i mondi, alle quali chiediamo di fare lo stesso sforzo che abbiamo dovuto fare noi, consapevoli dell’ingombro fisico e simbolico costituito dal maschile. E di sperimentare il piacere e il vantaggio che abbiamo avuto nel parlare tra donne. A noi stesse chiediamo di guardare più spregiudicatamente alle esperienze che abbiamo fatto, a osare di più nell’invenzione di forme politiche e a scommettere sulla nostra libertà. La preoccupazione che alcune donne dell’Udi manifestano, per il fatto di trovarsi nella fase conclusiva del Congresso di fronte ad una proposta che riformuli l’organizzazione sottovalutando il guadagno accumulato e sedimentato, è legittima. Come legittima è l’insofferenza di quelle donne che vivono con pesantezza il perdurare dell’assenza di forme di delega e di rappresentanza e sentono il bisogno di uscire dalla clandestinità e dalla moderazione.

Il dibattito congressuale avviato dall’Autoconvocazione del 4 maggio 2002 ha cercato di allentare la tensione tra i due capi di un elastico teso da troppo tempo e che non ci permetteva di vedere gli esiti, prodotti con il perdurare della nostra iniziativa sul terreno della politica. Con grande senso della realtà, quella autoconvocazione ha modificato l’autoproposizione in mandato. Non era possibile sul piano simbolico, prima ancora che pratico, rimanere ormeggiate all’XI Congresso e abbiamo dovuto recuperare due passaggi fondamentali della nostra storia, il XII e il XIII Congresso per attuare quello che, attraverso questi due congressi, avevamo individuato come i presupposti di un patto tra di noi.

 Comporre i conflitti, non sulla base della buona volontà, ma sul riconoscimento reciproco e rendere esplicita una rinnovata responsabilità attraverso la registrazione. Nell’Udi che abbiamo alle spalle i segni di questo patto erano labili e poco incisivi, il più delle volte la responsabilità è stata circoscritta alla propria personale esperienza. Pretendere dalle donne dell’Udi che si registrassero e avviare il Censimento sono stati i modi, forse imperativi, ma necessari, per cominciare a toccare i nervi dell’Udi e capire se era ancora viva. Non potevamo permetterci un XIV Congresso che non spostasse veramente e che anziché guardare al futuro continuasse a pensarsi come il luogo delle figlie o delle orfane di “quel congresso”. Sta in questa logica l’aver insistito sul cambio generazionale e aver preteso da ciascuna di noi un atteggiamento adulto, solo così siamo state in grado di guardare alle forme nuove che abbiamo praticato in questi anni e a pensarle come i presupposti dell’organizzazione di oggi. La parola organizzazione non deve farci pensare che essa è possibile solo nei modi già conosciuti, di tipo centralizzato e gerarchico perché noi siamo già portatrici di una realtà più articolata e contaminata. Da qui dobbiamo ripartire per ridefinire un patto tra di noi: tra soggetti adulti in grado di parlarsi, di scambiarsi esperienze, opinioni e giudizi.

Questo Congresso che si è snodato in tre appuntamenti ha via via preso delle decisioni e, con passaggi diversi e documentati, ha stabilito di rafforzare il significato della registrazione e l’ha chiamata tessera di registrazione, così da sottolineare la responsabilità individuale.

Fino ad ora, pur sperimentando, siamo state capaci di gesti chiari ed espliciti come il mandato che il Congresso, nel suo appuntamento di Modena, ha dato ad alcune di noi perché formulassero una ipotesi di organizzazione da presentare oggi. Probabilmente non tutte noi, che facciamo parte del gruppo preparatorio, ci saremmo autoproposte e quindi l’indicazione venuta dal Collegio di garanzia, e fatta propria dal Congresso, ci ha messo in una situazione nuova, oltre che di grande responsabilità. Le donne che fanno parte di questo gruppo non sono state espresse dalle esperienze da cui provengono perché da tempo non abbiamo più congressi provinciali, cittadini, o comunque locali, ma sono l’espressione di una soggettività che si è resa riconoscibile per un legame con il territorio o con altre donne, attraverso il Censimento o dei contributi scritti. Per questo ogni componente del gruppo deve dare conto del suo mandato a questo Congresso, ma nello stesso tempo ha dovuto riformulare, nel lavoro collettivo, i suoi rapporti originari. Aprire questa forma di verticalità tra di noi e sottoporla a verifica è una modalità che con il XIV Congresso abbiamo già sperimentato e messo in atto.

Questo documento costruito collettivamente è il frutto di un’articolata mediazione tra noi. Tutto quello che è scritto è stato calibrato sulle nostre differenze e anche sulle nostre disparità. Per questo, probabilmente, nella sua stesura definitiva non sarà omogeneo perché risente dei toni, del modo di esprimersi di ognuna di noi, così come dei materiali a cui abbiamo fatto riferimento.

Attraverso questo lungo viaggio, che abbiamo intrapreso più di un anno fa abbiamo cominciato a distinguere il bagaglio dai pesi. Solo adesso siamo in grado di scegliere quello che vogliamo portarci dietro della nostra storia passata e quello che possiamo tranquillamente abbandonare. C’è una parola che ci accompagna da decenni, anche se si è trasformata nel tempo, ed è autodeterminazione. Da questa parola prende sostanza l’autonomia dell’Udi e su di essa si ridefiniscono i termini del rapporto anche personale con il maschile. II separatismo è una conseguenza dell’autonomia dell’Udi.

Autonomia che nel corso degli anni si è anche misurata con le forme dell’autofinanziamento. Per questo abbiamo tanta cura delle nostre sedi, delle nostre cose e diamo tanta importanza alla socialità tra di noi.

 Fisionomia dell’Udi: Ripensare la politica rimettendo al centro l’espressione “per le altre” ci obbliga, prima di tutto, alla visibilità e a dare peso al “noi”. Ogni gruppo, ogni singola dell’Udi ha declinato in questi anni, per come ha saputo e per come ha potuto, la sua passione per la politica, perciò ci avviamo alla conclusione di un congresso che ci vede protagoniste di esperienze diverse e, a volte, in contraddizione tra loro. L’appartenenza e l’accesso all’Udi anche di singole donne è stata proficua per l’intelligenza e l’energia che hanno investito e per gli scambi che hanno messo in atto ed ha anche immesso una discontinuità rispetto al tessuto organizzativo e alla cultura politica dell’Udi. La fisionomia dell’Udi è oggi costituita da realtà locali strutturate in sedi grandi e piccole, gruppi, esperienze e tematiche legate al territorio e da singole donne che fanno direttamente riferimento alla sede nazionale. L’adesione all’Udi è individuale e avviene attraverso una tessera. Laddove l’adesione sia fatta attraverso una sede locale o un gruppo una quota sarà versata alla sede nazionale.

 Assemblea Nazionale Autoconvocata: L’Assemblea nazionale autoconvocata è il luogo in cui in questi anni siamo cresciute, ci siamo singolarmente esposte assumendoci delle responsabilità. L’Autoconvocazione è il bagaglio che ci portiamo dietro, il peso che ci lasciamo alle spalle è la mancanza di un patto tra di noi, che ci ha reso talora impacciate nelle nostre manifestazioni pubbliche e molto al di sotto della nostra storia. Avere parola su di noi è il presupposto per stabilire un patto e l’Autoconvocazione è il luogo dove questa parola, attraverso la narrazione, diventa politica. Per questo l’Assemblea nazionale autoconvocata, di donne singole, gruppi e circoli, rimane il luogo sovrano dell’Associazione, in quanto riconferma la pratica della relazione circolare e paritaria tra donne e ne riconosce le insopprimibili differenze come ricchezza. E’ opportuno, per meglio favorire la partecipazione, pensare almeno un incontro all’anno e il periodo di svolgimento potrebbe essere indicato tra la fine di ottobre e i primi di novembre. L’Assemblea nazionale autoconvocata è costituita dalle donne che aderiscono all’Udi tramite la tessera annuale e si assumono la responsabilità della politica dell’associazione, anche nella forma della delega, della rappresentanza ed eventualmente del voto. Possono partecipare alla discussione, nell’ambito dell’Assemblea autoconvocata, anche donne non iscritte. Nel dare sistematicità alla narrazione delle nostre esperienze, diamo conto, come già avvenuto, della fisionomia dell’Udi. Scandite dall’autoconvocazione, le esperienze prima ancora di una visibilità, potranno avere una rappresentazione, fondata su modalità narrative nuove, non perché inedite ma perché, pur appartenendo all’esperienza dell’Udi, ne articoleranno in modo più consapevole e strutturato lo spazio di confronto. In questo modo diventerà un luogo realmente politico, in cui l’azione responsabile e la libera riflessione sull’agire sono le due facce di una stessa pratica, collettiva ed esplicita perché resa visibile e significativa innanzitutto a noi stesse.

 Coordinamento: II Coordinamento sarà, insieme con l’Assemblea nazionale autoconvocata, lo strumento politico dell’Udi: avrà il compito di istruire la dimensione progettuale in cui si configura l’attività complessiva, ovvero nazionale, dell’Udi. Ne valorizzerà le pratiche non solo in merito alla sua diffusione, ma soprattutto in merito alla possibilità, su cui continuiamo a voler scommettere, di modificare quella porzione di realtà che ci compete singolarmente e collettivamente.

A tale scopo: recepisce le istanze e gli obiettivi dell’Assemblea nazionale autoconvocata; concorda i criteri di lettura politica di quei fenomeni della realtà attuale che più profondamente investono l’esistenza e la riflessione delle donne; organizza e configura le questioni politiche emergenti in una prospettiva tematica; attiva forme di collaborazione e confronto con singole donne o realtà dentro e fuori l’Udi. Avvalendosi anche del supporto di lavoro prodotto da due gruppi relativi alla comunicazione e alla ricerca di risorse.

Il Coordinamento viene eletto ogni due anni dall’Assemblea nazionale autoconvocata. E’ composto da non meno di nove e non più di undici donne. La sua attività è sottoposta annualmente, attraverso una relazione scritta, a verifica nell’assemblea autoconvocata, prevedendo eventuali integrazioni delle sue componenti. Nella formazione del coordinamento vengono favorite donne che abbiano maturato esperienze nell’associazione e che siano l’espressione dell’avvicendamento di nuove generazioni politiche. Il Coordinamento può convocare in caso di necessità, in forma straordinaria, un’Assemblea nazionale.

 Autoproposizione: Riteniamo che anche l’autoproposizione sia una pratica da rileggere per ridarle senso e per renderla più efficace: rimane un momento di mediazione politica a cui tutte le donne sono chiamate con responsabilità, una responsabilità diffusa che riconosce la soggettività. In questa fase della nostra storia politica l’autoproposizione può nascere, sia come espressione di responsabilità personale, sia come espressione di esplicito riconoscimento da parte di altre donne: diventa perciò proposizione.

 Sede Nazionale: La sede nazionale dell’Udi, che è a Roma, assolve una funzione centrale e fondamentale sia per quanto riguarda lo scambio tra di noi che il tipo di visibilità che vogliamo avere nei confronti delle donne e delle istituzioni. Nella sede nazionale è custodito l’Archivio centrale, patrimonio della nostra memoria che siamo fiere di aver mantenuto. Oltre ad ospitare la struttura organizzativa e alcuni momenti nazionali della vita dell’Associazione è anche sede per donne e per le attività che vi vorranno svolgere. In tal caso, iniziative e attività non nazionali debbono trovare canali autonomi e trasparenti di reperimento di risorse.

Occuparsi della sede nel senso materiale del termine, ma anche come luogo politico da frequentare, richiede una cura quotidiana. La stessa cura che è necessaria per mantenere viva e vitale la comunicazione tra di noi perché solo così la conoscenza tra le donne dell’Udi varca i confini del proprio gruppo, del proprio circolo, della propria città o della propria solitudine. Proponiamo che sia una la donna che ha il mandato di governare la sede nazionale e la responsabilità politica di pianificarne l’attività. Questa figura politica – presente in sede in maniera costante e continuativa – farà parte del Coordinamento, verrà indicata esplicitamente nell’autoconvocazione, rimarrà in carica due anni ed è vincolata ad una relazione di verifica annuale. Solo chi ha vincoli di orario e garantisce l’agibilità della sede ha diritto ad un riconoscimento in denaro, al di fuori di questo le cariche sono gratuite. L’uso della posta elettronica ha permesso in questa lunga fase congressuale una comunicazione veloce e documentabile, che lievitando ha via via modificato la percezione dell’Associazione. L’avvio di un sito Internet ha aperto una sperimentazione che si conclude positivamente con questo Congresso. Il sito va perciò ripensato in armonia con quello che l’Udi vorrà fare ed essere in futuro. Sentiamo la necessità di potenziare e usare nella maniera più adeguata il computer per comunicazioni dinamiche e trasmissioni di dibattiti ed incontri. Avviare tutto questo non è solo un fatto organizzativo, ma politico, i modi e le forme con cui avverrà devono essere discussi dal Coordinamento. Non va eliminata la posta cartacea in alcuni casi ancora molto importante.

 Risorse: La sede nazionale dell’Udi deve essere sostenuta da risorse certe, da reperire parte nella quota-tessere, nelle attività di finanziamento quali l’8 Marzo e il calendario, parte attraverso l’accesso a risorse pubbliche con l’apertura di un servizio per la consultazione dell’Archivio centrale.

Garanti: Per la trasparenza dell’uso e della destinazione delle risorse riteniamo importante mantenere l’istituto delle due Garanti che, insieme al Coordinamento, predisporranno il bilancio che verrà sottoposto all’approvazione dell’Assemblea nazionale autoconvocata. Le Garanti non fanno parte del Coordinamento.

Carta degli intenti- Statuto: La Carta degli intenti dovrà essere la premessa politica di uno Statuto a tutti gli effetti, secondo le indicazioni espresse da questo Congresso. La Carta rimane il fondamento della nostra identità e va opportunamente adattata alla realtà attuale. Il Coordinamento politico potrà avere il mandato di elaborare una proposta in tempi brevi.

Sperimentazione: Prevediamo un anno per sperimentare la forma organizzativa deliberata da questo Congresso, al termine del quale è prevista la verifica di un’Assemblea nazionale autoconvocata. Con questa relazione costruita collettivamente si conclude il nostro mandato.

Il Censimento, tuttora in atto, ha inteso rendere visibile la realtà dell’Associazione favorendo un processo di ridefinizione dell’appartenenza, anche attraverso una riflessione individuale e collettiva sulla propria storia.

L’accertamento dello stato di questa Associazione, che tanto ci appassiona, si avrà se la risposta non si identificherà in meri resoconti, ma nell’apertura di un dialogo tra tutte e con tutte, in cui ognuna accetti di farsi interpellare dalle parole e dalla storia delle altre donne, anche molto diverse per esperienze ed età, per rendere riconoscibile il valore e il senso delle azioni politiche che hanno costituito in questi anni il suo modo di essere Udi.

 Fare politica come creazione di eventi e di significati collettivi, narrazione di modi di essere e agire negli spazi pubblici e privati, interlocuzione sul senso delle nostre azioni in quanto espressione delle relazioni, individuazione dei possibili livelli di politicità insiti in certe pratiche e in certe iniziative è dunque la prospettiva aperta dall’Udi in questo XIV Congresso

 

Marilla Baccassino, Laura Biasibetti, Zanette Chiarotto, Annalisa Marino, Pina Nuzzo, Liliana Pagliuca, Rosangela Pesenti, Laura Piretti, Antonella Pompilio, Liviana Zagagnoni. Questo Gruppo diventa il Primo Coordinamento nominato dal Congresso.

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