Mottola

 

HPIM0504.JPGLa Federazione Donne Evangeliche in Italia e la Chiesa Cristiana Evangelica Battista di Mottola hanno accolto l’invito dell’Unione Donne in Italia di dire un chiaro e visibile no alla violenza contro le donne, proprio in questi giorni più ferocemente alla ribalta della cronaca, attraverso una staffetta che dal 25 novembre 2008 sta percorrendo tutta l’Italia fino al 25 novembre prossimo. Testimone è un’anfora che al suo passaggio sarà la simbolica protagonista di una conferenza, di un momento di riflessione, della proiezione di un film… e accoglierà pensieri, foto, messaggi.  Quest’anfora si fermerà a Mottola sabato 31 gennaio alle ore 18.30 presso il locale della Chiesa Battista in cui si svolgerà una conferenza-dibattito a cui tutta la cittadinanza è invitata.
Interverranno Claudia Lisi (UDI), Sandra Spada (pastora battista), Virginia Mariani (segretaria nazionale FDEI); modererà il fratello Nicola Larucci.

CONFERENZA-DIBATTITO “Vincere la violenza” 31 gennaio 09

Ringrazio la comunità che, come sempre, ha accolto favorevolmente e con sensibilità l’invito a ospitare questo incontro, partecipando a un’iniziativa nazionale su un tema così tristemente attuale e concreto che, comunque, ci vede impegnate attivamente da quasi un ventennio.

Infatti questo dal 2000 al 2010 è il secondo Decennio proclamato dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, unitamente con l’ONU, che le chiese cristiane sono chiamate a celebrare: Decade to overcome violence, il Decennio ecumenico per “Vincere la violenza”, da cui il titolo della conferenza di questa sera.

Perché un Decennio per riflettere su questo umano flagello è fin troppo chiaro, ma perché chiamare il causa proprio le chiese può esserlo meno o lo si può considerare scontato. Il decennio precedente, avviato il 1990, è stato quello delle “Chiese in solidarietà delle donne”: le chiese, dunque, hanno dovuto prendere coscienza che c’è un doloroso nesso fra il Cristianesimo e la violenza sulle donne. Non soltanto le chiese non hanno nel corso della storia ostacolato e lottato contro la violenza in genere, ma addirittura abbiamo scoperto che nelle stesse chiese c’è stata e c’è violenza di genere, e cioè sulle donne.

 E proprio in questo Decennio la FDEI (che ora, oltre alle donne battiste valdesi e metodiste, unisce le donne luterane, avventiste e dell’esercito della salvezza) ha distribuito molti questionari sul tema «Donne e violenza», che hanno rivelato che anche nelle nostre chiese gli episodi di violenza ci sono a livello psicologico, verbale, raramente fisico ma… il problema ci riguarda! La violenza è in noi e tra noi! Per questo da due anni anche la pubblicazione della FDEI di un “Diario di preghiera” che accompagna la riflessione individuale o di gruppo sul tema della violenza nel periodo simbolico che va dal 25 novembre al 10 dicembre.

 Ma chiediamoci, dunque: dove nasce il Cristianesimo? All’interno di una società patriarcale, quella giudaica, di cui più volte Gesù ha denunciato contraddizioni e limiti; dove continuerà il Cristianesimo? Nella società romana definita dalla teologa Fiorenza Schϋssler “kiriarkale”, cioè a forma di piramide con diversi gradi di dominazione e subordinazione nella quale le donne vengono a significare tutto ciò che è debole e si può sottomettere e controllare.

E ancora: chi per secoli ha pensato elaborato e scritto su Dio? Chi per secoli ha avuto accesso all’istruzione e poteva leggere e scrivere? Per fare qualche esempio, Agostino dice che mentre l’uomo da solo è immagine di Dio, la donna lo diventa soltanto unita col marito (avete, infatti, mai riflettuto sulle parole “patrimonio” e “matrimonio”? Matrimonio: Una donna sposa un uomo sperando che cambi, e lui non cambierà.  Un uomo sposa una donna sperando che non cambi, e lei cambierà. Patrimonio: complesso di beni. Da pater. Matrimonio: accordo tra un uomo e una donna. “maternità legale”, “perché apparisce più l’ufficio d’esso della madre che del padre…”)

Nel Medioevo, poi, da una parte si faceva notare come non fosse decoroso per una donna saper leggere e fare di conto e dall’altra alcune leggi permettevano al marito di picchiare la moglie ma sempre “in modo ragionevole”, ossia senza ucciderla. Si capisce bene che queste idee, oggi contrarie a qualsiasi Costituzione e alla DUDU, garantivano la docilità della donna e la mancanza di SAS (senso di autostima) che non aveva identità propria e la cui dignità derivava unicamente dal legame con un uomo, padre, marito…Ma se devo ubbidire al capo famiglia che mi usa violenza, se gli abusi sono colpa mia perché sono come Eva, se addirittura la sofferenza che provo mi si dice che mi avvicinerà di più a Cristo… se sono esclusa dal sapere, se per la società non esisto, se non sono nulla, come posso “amare il mio prossimo” se pure linguisticamente il te stessa non esiste fagocitato da un “te stesso” che non mi include? Non sono amata, non mi amo, non posso amare o se amo lo faccio in modo sbagliato perché è un amore che in qualche modo mi si ritorce contro

Ecco, sono nella FDEI da sei anni ormai e, pur essendo nata negli anni ’70, per mezzo dei miei genitori, convertiti dal cattolicesimo, e di mia madre in particolare, ho vissuto pienamente le due realtà: da un lato è come se da sempre conoscessi l’UDI, le problematiche legate, come si dice ora, alla differenza di genere, il femminismo, e dall’altra, vivendo in un contesto protestante, sono cresciuta non soltanto nel rapporto personale con Dio e Gesù, nel confronto costante con la Bibbia, con il principio tutto battista della libertà nella responsabilità, ma anche guidata dalla teologia della liberazione e dalla teologia femminista proprie degli anni ’70. Il tutto condito da un appassionato interesse per l’uso non sessista della lingua italiana e, quindi, per il linguaggio inclusivo che finora mi ha, il più delle volte, resa oggetto di critiche o derisone.

Sebbene leggere, come per esempio sui libri di Geografia, che “L’uomo modifica il paesaggio…” oppure “L’uomo distrugge l’ambiente…” mi dia un guizzo di gioia facendomi pensare o illudere che noi donne non siamo artefici o complici di tali brutture ai danni della creazione, il fatto che il termine uomo debba includere anche me mi dà una strana sensazione!

Insomma, credo che Nomen est omen (Il nome già contiene un presagio, Plauto) o che  Nomina sunt consequentia rerum (I nomi sono corrispondenti alle cose,  Giustiniano) e, benché sia un po’ forte (blasfemo, sicuramente, per il mondo ebraico) come concetto, credo che anche la nostra parola crea: crea idee, relazioni, situazioni, emozioni. I nomi che usiamo e che diamo alle cose creano quelle cose lì dove prima non c’erano, corrispondono a cose che precedentemente non si pensavano e non esistevano. Così come il nome che non usiamo semplicemente non fa esistere la cosa e non corrisponde a nulla di concreto. Ecco perché è ora fondamentale parlare di femminicidio e non di un più indefinito omicidio. Nel nostro linguaggio sessista e maschilista il femminile non esiste o fa davvero molta fatica a esserci (architetta è un po’ ridicolo…; vigilessa, uhm…; professora suona male, da tempo esiste professoressa; però con pastora ce l’abbiamo fatta!)

Nel nostro linguaggio non esiste inclusione, non esiste la ricchezza della differenza e, dirò di più, il nostro linguaggio è violento e proprio bellicoso. Pensiamo a più ricorrenti modi di dire: essere alle prime armi (essere alle prime esperienze, agli inizi), fare una guerra a perdere, essere una guerra persa (essere un insuccesso, iniziativa fallimentare), stare all’erta (essere attenti), essere in trincea (trovarsi in posizione di difesa o in condizioni difficili), a prova di bomba (cosa solidissima), bomba calorica, stare sul fronte del…

A parte i film, i programmi televisivi, le immagini, il nostro modo di parlare è inconsapevolmente violento per non parlare delle relazioni troppo spesso prepotenti e intolleranti. Quante volte, infatti, diciamo: “Tu hai torto” anziché  “Ho un’opinione diversa…”; “Devi, dovete…” invece di “Vorrei che…, Mi piacerebbe che…”; “Si sa…” anziché  “Secondo me…”…

Nell’ambito della nonviolenza questa è la comunicazione ecologica che trasforma il potenziale negativo del nostro linguaggio in potenziale positivo (per meglio valorizzare il potenziale di  ciascuno senza mistificazioni ipocrisie e mistificazioni)

C’è davvero il rischio, e concludo, che ci abituiamo agli atti di violenza perché viviamo situazioni quotidianamente e sottilmente violente, oltre che di degrado culturale! Perché le parole che usiamo, oltre agli atteggiamenti o all’intonazione, sono nomi che creano e rievocano con prepotenza la violenza! Lo diciamo ancora una volta stasera: non dobbiamo passare sotto silenzio questa piaga della nostra società, come Dorothee Sölle ha denunciato nel suo libro “Violenza: non mi devo abituare” (Düsseldorf 1994).

Come scritto provocatoriamente su una delle tre cartoline prodotte in occasione di questo Decennio dalla FDEI “L’amore non sopporta tutto!” (frase che, tra l’altro, è il titolo del Convegno che si svolgerà il 3 marzo nella Sala delle Colonne nella Sala dei Deputati). Deve essere chiaro che ogni forma di violenza sulle donne, sulle bambine e i bambini, sulla parte più debole della società è violenza contro l’intero genere umano.

Molte forme di violenza sono accettate, non si notano più, sono sommerse sotto il silenzio: violenze strutturali, culturali e gli effetti economici della globalizzazione fanno parte del mondo in cui viviamo e anche della nostra vita… il modello patriarcale, kiriarkale, non soltanto è ingiusto ma ha chiaramente fallito in politica, in economia, nella vita di tutti i giorni: bisogna con coraggio e creatività ripensare rinominare e rifare tutto!

E stasera vogliamo dire insieme  con una nota femminista olandese che: “C’è un paese in cui le donne vogliono abitare. Dove si va incontro ai deboli con rispetto. Dove gli stranieri non sono più umiliati. Dove la violenza non è più tollerata da nessuno. Dove tutte e tutti sono in grado di confortare quando una persona non ce la fa più. Questo è il paese dove donne e uomini vogliono abitare. Un paese dove esiste solidarietà.”

Virginia Mariani, segretaria nazionale FDEI

 Castellaneta, 28.01.09

Gentilissima professoressa, cara sorella Virginia,

ho ricevuto la sua mail circa la Staffetta a favore delle donne che farà tappa a Mottola. Il fatto di non poterci essere a motivo della visita pastorale a Palagianello, non mi impedirà di unirmi spiritualmente ad un cammino di promozione culturale e sociale oggi sempre più urgente. Lo dico anche come frutto di questa peregrinazione ecclesiale che dura da dicembre del 2007 e che mi sta permettendo di incontrare tante donne impegnate nella società, nella scuola, nella famiglia, nella chiesa. Come Gesù ha promosso in modo unico la vocazione delle donne, così anche i suoi discepoli oggi devono riconsegnare questa “profezia” al mondo di oggi.

Ringrazio ancora per la mail e saluto di cuore tutti i partecipanti.

+ Pietro Maria Fragnelli, Vescovo di Castellaneta 

 

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