Raffella Lamberti  

venerdì 02 marzo 2007

50E50…ovunque si decide! è formula con cui ci troveremo a fare i conti. Racchiude il succo della campagna che l’UDI – Unione Donne in Italia, lancia per la “democrazia paritaria” e interferisce positivamente con la riflessione che l’Associazione “Orlando” prende con i “dialoghi tra femminismo e democrazia” della Scuola di Politica Hannah Arendt. Dialoghi che affrontano dilemmi cruciali per una “democrazia paritaria, locale e globale”, per dirla con un nostro slogan.

Prima, tuttavia, di raccontare il motivo che porta a parlarne ora, è opportuno sottolineare come dal novembre 2003 l’Unione Donne Italiane s’è voluta ridefinire Unione Donne in Italia ponendo attenzione a chi, nata altrove, emigra e vive nel nostro paese e riconoscendone il diritto alla piena cittadinanza. Preceduto da incontri aperti del dicembre 2006 e del gennaio scorso, il 22 febbraio 2007 s’è tenuto a Roma, in piena crisi di governo, un convegno in vista del prossimo 8 marzo, giorno di lancio dell’azione in questione il cui logo campeggia oggi nel sito UDI .

Aperto da Pina Nuzzo e introdotto dalla relazione di Milena Carone e Stefania Guglielmi, il convegno ha consentito di cogliere gli spostamenti nel tempo e i nodi concettuali e politici che inducono un’organizzazione a carattere nazionale ad impegnarsi nella raccolta di 50.000 firme per giungere ad una legge che imponga meccanismi paritari ad ogni livello della rappresentanza e della decisione. Poiché il sito ufficiale UDI contiene visibili e comprensibili i chiarimenti, i documenti e le indicazioni necessarie ad aderire alla campagna o a farsene attrice, mi limito ad analizzare spostamenti e nodi salienti che giustificano perché una legge, perché 50 e 50, perché una campagna.

Alle spalle della scelta del tema della presenza paritaria e duale e delle modalità che l’UDI assume per farne politica stanno due ordini di considerazioni che rilevano da altrettanti spostamenti. Milena Carone e Stefania Guglielmi, richiamando la Proposta di legge di iniziativa popolare contro la violenza sessuale (1978) di cui l’UDI fu co-promotrice, hanno ricostruito il “percorso travagliato” che portò l’associazione a mutare il proprio atteggiamento verso la norma e ad interrogarsi sul rapporto tra “la soggettività sessuata” femminile e la legge. Un processo che in seguito ha condotto a riflettere su concettualizzazioni e istanze quali universalità, uguaglianza, democrazia fino a giungere all’attuale formulazione “cittadinanza duale” che a quelle istanze e principi offre risposta. Con occhi esterni all’UDI, l’influenza del pensiero della Differenza e del “pensare differentemente” nell’assunzione dell’essere due nel mondo e della differenza tra i generi come pre-condizione di uguaglianza è considerevole. E altrettanto lo sono le riflessioni che sul rapporto donne/diritto sono scaturite da una pluralità di differenti voci dei femminismi e non solo da giuriste. Certo l’assunzione del concetto d’uguaglianza e la presa di posizione a favore della democrazia sono buona stoffa UDI.

Il secondo spostamento lo ha esposto Pina Nuzzo: con il XIV Congresso 2002-2003, l’UDI ha ritenuto conclusa la pur feconda “era delle assemblee” per pensare il ruolo del “dirigere” e della “dirigenza” in politica come assunzione di responsabilità ed esposizione al giudizio. Ove la frase forte del ragionamento è che nel decidere in libertà cosa sia meglio per il “Noi” – UDI, ci siano le condizioni per decidere “anche cosa è meglio per le donne”. Il “50 E 50” poggia, piuttosto, su una stigmatizzazione del vizio di fondo di ogni idea di quote e gioco di proporzione della rappresentanza che non assuma la presenza paritaria come misura: avere la discriminazione e, di conseguenza, il divieto di discriminazione a riferimento della cittadinanza femminile, così come tuttora li hanno le costituzioni democratiche occidentali e la Dichiarazione universale dei diritti umani. Né diverso criterio ha retto la modifica del Titolo V della Costituzione italiana. Senza indugiare sul perché le donne, essendo più degli uomini e parte di ogni aggregato umano, non possano costituire una minoranza discriminata, è evidente come tale criterio configuri una cittadinanza originaria e principale, quella maschile, ed una derivata e seconda, quella femminile, che aspira ad essere ammessa alla prima. Ma è anche evidente come il concetto di uguaglianza sia ancor più da ripensare nella sua complessità oggi, se storicamente esso ha retto, come per secoli ha retto, le ipotesi d’esclusione/inclusione e assimilazione al “cittadino” uomo, bianco, acculturato di chi per genere, ceto e razza non gli fosse uguale. Le relatrici articolano classicamente il concetto in uguaglianza formale e sostanziale, ove interessante è come in ultima istanza la sostanzialità si suffraghi. Vale a dire grazie alla soggettività sessuata, alla dualità dell’incarnazione di un uomo e di una donna, che mantiene ancora alle donne la titolarità del generare. Questo è, si diceva al convegno, il solo diritto naturale che l’UDI riconosce.

Le conseguenze di tali diverse assunzioni sul piano giuridico portano a conseguenze linguistiche. A una locuzione come Democrazia Paritaria, nata a livello di organismi transnazionali europei con merito di donne in essi operanti, l’UDI associa quella di Cittadinanza duale ed insiste sulla necessità di tenere compresenti i due aggettivi “paritaria” e “duale” pena l’insignificanza del soggetto femminile a fronte delle moderne Democrazia e Cittadinanza. Un ulteriore slittamento linguistico riguarda la stessa idea di rappresentanza laddove si suggerisce di parlare di “presenza paritaria” e non di “rappresentanza paritaria”. Le assonanze con tanta riflessione femminista e riflessione “neutra” sui limiti della rappresentanza porterebbero lontano. Più pertinente all’orizzonte dei discorsi ascoltati il 22 febbraio, è la cura che s’intende mettere nella predisposizione di un dispositivo di legge che garantisca presenza paritaria di donne in ogni organismo e ad ogni livello in cui si decida.

Infine, l’UDI riconosce alla nozione di “campagna” non solo la capacità d’esprimere la volontà di un coinvolgimento ampio delle donne sul territorio nazionale, ma quella di una lotta politica consapevole e tenace, dato che affermare la democrazia “paritaria e duale” comporta la riduzione di quel potere che uomini in carne e ossa hanno fondato e fondano sulla disuguaglianza di genere.

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