2003: Aprirci a nuove esperienze, a rapporti rinnovati

Roma, Assemblea nazionale autoconvocata, 29-30 novembre 2003, discussione e l’approvazione del nuovo statutodagli appunti di Pina Nuzzo, Delegata alla Sede nazionale

A me spetta il compito di dare conto del lavoro che si è svolto nella Sede nazionale. Voglio cominciare dalla necessità che ho avvertito, a un certo punto della mia storia, di ritrovare una dimensione “fisica” della politica perché le cose che dicevo, che raccontavo, che ascoltavo, mi sembravano non avessero più consistenza.

A un certo punto mi sono accorta che non bastava più la mia sola esperienza, il riferirmi alla mia storia personale, per dare significato alla politica. Mi pareva di non avere più voce. Ho avvertito in modo forte questa sensazione in un’autoconvocazione, nel 2000, non eravamo più di dieci, quando ho deciso di autopropormi come responsabile di sede.

L’ho deciso quasi d’impulso, di fronte ad un fatto molto banale; durante la pausa pranzo di quell’autoconvocazione, siamo uscite per andare a mangiare un panino. Mi sono accorta che ognuna scappava per conto suo, anche se eravamo davvero poche. In questo fuggi-fuggi, mi sono ritrovata sola. Ed io – che pure avevo condiviso con quasi tutte le presenti momenti significativi della mia storia politica – non sono riuscita a dire a nessuna “andiamo a mangiare un panino insieme”. Questo episodio mi è parso più grave dei conflitti politici “non componibili” che erano stati teorizzati e che avevamo alle spalle. Sono ritornata in autoconvocazione dicendomi ” o me ne vado via o rimango e mi assumo la responsabilità”. E mi sono proposta come responsabile di sede. In quel momento era seduta accanto a me Rosangela Pesenti – unica mia coetanea presente – l’ho sollecitata a non lasciarmi sola, si è autoproposta anche lei e il resto della storia la conoscete.

Con impegno e con passione abbiamo avviato tutte assieme un percorso, come è stato quello del congresso – dal Censimento fino alle diverse tappe – sapendo che dare respiro e visibilità alla nostra politica sarà un lavoro lungo, faticoso, dagli esiti incerti, che non si conclude certo con l’approvazione dello Statuto. Ragione per cui siamo qui oggi.

Abbiamo preso in carico un processo politico, perché era giunto il momento per guardare a noi stesse come dirigenti di una nuova fase della politica dell’Udi. E investire sulla domanda di politica delle donne in questo paese.

Io sto affrontando un personale processo di crescita dovuto al ruolo, sapendo che quando ti è data una funzione, non è automatico che questa si trasformi in autorità, anzi, di solito, quella funzione finisce per moderarti. Perché la funzione comporta spessissimo la mediazione costringendo alla medietà.

Ho accettato in partenza di fare i conti con gli “argini” che l’Udi già alza e alzerà – conosco l’Udi – ma è una fatica necessaria per tornare a dire “noi” in modo autorevole, soprattutto per un’Associazione come la nostra che è riconosciuta solo per il passato remoto.

Per andare veramente avanti dobbiamo smettere di attribuire a “quelle” donne che hanno realizzato “quel” Congresso, intendo l’XI, le mancanze e i conflitti che hanno caratterizzato gli anni che abbiamo alle spalle. E’ un nostro limite non essere riuscite ad andare oltre, noi siamo responsabili della mancata lettura politica dei fatti che sono seguiti e degli spostamenti avvenuti.

Oggi dobbiamo pensare che è possibile per l’Udi immaginare e realizzare un modo di organizzarsi senza sconfessare le scelte fondamentali dell’XI Congresso.

Al contempo tocca a noi valutare in concreto quanto di positivo ha prodotto quel congresso e quante questioni sono state lasciate in sospeso. E alcune questioni sembrano solo pratiche, mentre in realtà rivelano cosa si muove nel profondo delle viscere di molte.

Un solo esempio: ogni 8 marzo in Emilia Romagna si distribuisce, insieme con la mimosa, il giornale Noi Donne come se fosse il giornale dell’Udi. Il binomio Udi-Noi Donne è ancora incardinato dentro la storia di quella regione, e quindi dentro la storia di tutte noi, anche se si tratta, ormai, di due progetti politici diversi e distinti. Non dichiarare la natura di questo legame, lasciare in ombra un fatto politico che coinvolge un gran numero di donne Udi, vuol dire non fare i conti con noi stesse, per come siamo davvero. Non a caso Liviana Zagagnoni nella sua relazione sollecita perché il Calendario Udi sia pronto alla fine di agosto, senza dare ulteriori spiegazioni sul perché un calendario debba essere stampato così in anticipo, condizionando i nostri tempi. Perché? Perché in alcune realtà si organizza nelle Feste dell’Unità la distribuzione del Calendario e dell’attuale Noi Donne.

Se una parte dell’Udi ritiene che questa scelta abbia un valore politico lo dica, lo argomenti. Se insieme decidiamo che a settembre andiamo alle feste di partito decidiamo anche come e a quali: alcune, tutte, una… Quello che non può più accadere è che un gruppo decida facendo finta di non sapere che le sue scelte hanno una ricaduta su tutte. Se parliamo di visibilità, come abbiamo fatto in questo XIV Congresso, diventa rilevante come ci presentiamo in pubblico. Andando alla spicciolata alle feste nazionali di un partito, qualunque esso sia, non diventiamo per questo più viste.

In ogni luogo ci dobbiamo andare con la dignità che compete alla nostra Associazione e poi vendere i Calendari e quello che ci pare, ma prima di tutto la nostra presenza non può essere scontata, insignificante, sennò è meglio che ce ne stiamo a casa.

Per “Noi Donne” va, infine, nominato il rapporto che l’Udi – l’Assemblea dell’Udi – vuole avere con questo giornale. Qualcuna lo considera ancora l’organo ufficiale dell’Associazione? Qualche altra vuole che torni a essere questo? Altre non ne vogliono proprio sapere? Parliamone qui, insieme e decidiamo. Non vi sto dicendo come la penso io, vi dico che su questa faccenda ci dobbiamo esporre tutte.

In questi due anni per assolvere il mio compito al meglio ho affinato l’udito, ho ascoltato le donne per capire da che parte cominciare. All’inizio del congresso molte mi domandavano ” che significa nazionale, cosa farà il nazionale, la sede… ” Ma io non avevo, e non ho risposte confezionate. Per ogni questione che si presenta, faccio ricorso all’esperienza di chi è venuta prima di me, controllo i verbali delle autoconvocazioni, leggo attentamente quello che le donne dell’Udi scrivono. Telefono per chiedere, per sapere. Percepirvi come un corpo che mi parla e al quale parlare, come stiamo facendo, è il presupposto per capire come muovermi. Così, insieme, tracciamo la fisionomia “del nazionale” e della sede nazionale.

So bene che il rapporto è segnato dal ruolo, fatto inedito per la nostra storia recente, che va di là delle regole che ci stiamo dando. So che tutto quello che abbiamo avviato farà i conti con la disparità e che avere uno statuto non la metterà fuori dalla porta, anzi. Potrebbe presentarsi in maniera ancora più prepotente e quindi dovremo farci ancora i conti, tra un po’.

Sono però convinta che l’Udi possa, rispetto a questo, trovare una propria strada e anche una propria parola politica.

Sono convintissima che lo faremo in maniera corretta, non distruttiva, a patto di aprirci a nuove esperienze, a rapporti rinnovati. Un patto per dire noi…abbiamo  detto!

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