un’origine da consegnare alla storia

L’Udi può avere un ruolo nel movimento delle donne perché ha tradizione, esperienza e competenza, a condizione che faccia definitivamente i conti con la sua doppia origine.

A suo tempo ho coniato questa espressione per collocare me stessa dentro una storia articolata e complessa. L’Udi, come sappiamo, nasce nel 1944-45 dai Gruppi di Difesa delle donne e questa è la sua prima origine, molto celebrata, ricordata, nominata, come stiamo facendo oggi, con un Congresso che si tiene negli stessi giorni e nello stesso mese del primo Congresso. Credo però che questa origine debba essere definitivamente consegnata alla Storia, senza peraltro rinnegare nulla di ciò che è stata.

C’è poi un’origine, tutta femminile, quella del 1982, quando, sempre con un Congresso, l’Udi azzera la propria organizzazione perché comprende che il protagonismo femminile non può essere irrigidito nelle forme di un’organizzazione mutuata – e non poteva essere diversamente –  dai partiti, fin dal dopoguerra. E decide di passare direttamente nelle mani delle donne la responsabilità dei beni, delle sedi e della sua politica.

E’ il Congresso che segna la seconda origine dell’Udi.

Tale origine, tutta femminile, è ignorata, come viene ignorata la politica che ne è scaturita perché l’Udi, rompendo con un modello organizzativo, in realtà si rende inaccessibile a qualsiasi ingerenza esterna e rompe con l’idea che essere a sinistra significa essere automaticamente dalla parte delle donne. (Pina Nuzzo, dalla relazione  del XV Congresso Udi)

Tale origine è la mia, e non per un dato anagrafico, ma perché sono fermamente convinta che essere femminista non significhi essere automaticamente di sinistra e viceversa. Su questo pensiero ho fondato il mio fare politica, ma sono consapevole che è un pensiero sempre meno condiviso.

 

 

 

Un pensiero su “un’origine da consegnare alla storia

  1. L’importante è nel partire-da-sè di non dimenticarsi le relazioni umane e politiche (“l’amicizia politica e di senso” come la chiama Angela Putino) per cui questa storia è “partita” anche per noi a livello proprio personale e che di fatto ha maturato una nostra certa politicità presente e futura (cfr. “Il corpo di Diotima. La passione e la libertà femminile”, Quodlibet 2008, 2011). Grazie.

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