la politica al tempo del ciclostile

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Fare politica nell’Udi mi ha insegnato l’importanza di raccogliere i materiali e di conservare le tracce del lavoro fatto. L’importanza di archiviare.

In anni recenti ho visto molte giovani donne avvicinarsi all’Udi per consultare l’Archivio Centrale per una tesi o per una ricerca, ma  ho anche visto accendersi in loro l’interesse per la storia delle donne e il desiderio di incontrare donne con cui parlare di quella storia. Per questo – nella periodo in cui ho avuto una responsabilità nazionale, dal 2000 al 2011 –  ho aperto il portone di via dell’Arco di Parma a Roma, pensando che la consultazione dell’Archivio è anche un pretesto, è anche uno strumento per colmare il divario con le nuove generazioni.  Le carte, i manifesti hanno funzionato come mediazione per conoscerci e per parlarci.

Spesso ho raccontato la mia esperienza, come sono arrivata alla politica,  per mostrare, in concreto, quanta strada hanno fatto le donne in questo paese, grazie alle loro lotte, ma anche quanto resta ancora da fare. La politica per essere comunicata ha bisogno di strumenti che però cambiano con il passare degli  anni e cambiano anche i soggetti che li usano.  Se ripenso adesso ai miei anni settanta mi rendo conto della lentezza di certi mezzi, della difficoltà nell’usarli e mi chiedo come abbiamo fatto a fare tante cose ad avviare e a mantenere tanti rapporti – perché anche questi richiedono una gestione –  e a crescere dei figli. Questo però mi fa anche riflettere sul tempo che avevamo a disposizione che, pensato oggi, mi sembra più lungo e dilatato rispetto alla vita attuale, mia e delle altre.

E il tempo è un altro elemento fondamentale per fare politica.

Per noi, allora, la fatica più grande era costruire le occasioni per incontrare le donne, le stesse che incontravamo al mercato, aspettando i figli all’uscita di scuola, dalla parrucchiera; così andavamo a fare volantinaggio nei mercati oppure organizzavamo riunioni  di caseggiato. Per queste riunioni alcune di noi si incaricavano di contattare le proprie vicine di casa, le invitava a casa sua o in una sala condominiale, su un tema che le coinvolgesse senza spaventarle. Se volevamo parlare di aborto convocavamo una riunione sul rapporto donna-corpo, donna-medicina. Queste riunioni potevano anche essere preparate con una diffusione di caseggiato, cioè distribuzione porta a porta di materiali predisposti per l’occasione, o con un giornale parlato se volevamo fare le cose in grande.

Per il giornale parlato occorreva un’auto con altoparlante installato e mentre una guidava lentamente per le strade del quartiere un’altra, la più spigliata e coraggiosa, parlava al microfono. E questo richiedeva una contrattazione con i maschi di un qualche partito che disponevano dei mezzi necessari e spesso bisognava declinare con garbo l’offerta di accompagnarci con la scusa che forse non sapevamo guidare, forse non sapevamo usare gli strumenti.

Volendo coinvolgere le studentesse – donne in fondo molto vicine per età a tante di noi – facevamo i volantinaggi davanti alle scuole superiori, durante l’orario di entrata o di uscita degli studenti, questo dipendeva da come riuscivamo ad organizzare la nostra vita e da come riuscivamo a fare la spesa, a cucinare o a collocare i figli. Avevamo una particolare attenzione per le sedi universitarie, dove spesso era difficile entrare se non si faceva parte di quei collettivi misti molto di sinistra e molto maschilisti. Per far conoscere le nostre idee e iniziative stampavamo presso tipografie di paese che ci facevano credito manifesti molto scritti, molto poveri che attaccavamo sui muri da sole. Questo richiedeva tutta una preparazione. Rimane epica nella mia memoria l’immagine di noi nella sede dell’Udi a Lecce che prepariamo il secchio con la colla, che pieghiamo i manifesti per poterli affiggere meglio, senza pieghe, che ci infiliamo nella 500 di Francesca e partiamo nella notte. Non senza aver fatto prima la mappa delle fontanelle della città dove rifare eventualmente la colla.

Era una questione di principio ‘fare attacchinaggio’ da sole, anche se c’era sempre qualche marito preoccupato nel vedere uscire la moglie a mezzanotte per andare ad attaccare manifesti o locandine. Qualcuno, abbiamo scoperto dopo, molto dopo, ha confessato che ci seguiva da lontano e di nascosto.

Convocare poi una riunione o una iniziativa pubblica richiedeva una programmazione che doveva tenere conto del funzionamento delle poste e del costo dei francobolli, ma anche del tempo necessario a scrivere gli indirizzi sulle buste, solo le più esperte disponevano di etichette, le altre al massimo avevano il timbro con il mittente. Ancora oggi posso recitare a memoria nomi e indirizzi della rubrica dell’UDI per quante volte li ho scritti. L’invito o il volantino che si spediva era ciclostilato –  i gruppi di donne proprietarie di un ciclostile erano pochissimi – quindi ogni volta bisognava rivolgersi a questo o a quel compagno o al sindacato e nel frattempo intrattenere una mondanità pseudopolitica. Quando decidevamo di convocare una riunione per telefono tutto filava liscio se avevamo il numero, ma se avevamo solo il nome della donna e non conoscevamo il nome del marito era inutile cercarla nell’elenco del telefono.

Traccia e testimonianza di tanto lavoro, paziente e tenace, si possono rintracciare in tutti gli Archivi dell’Udi. Traccia e testimonianza della storia che vi ho raccontato si trovano nell’Archivio dell’Udi di Lecce e provincia.

Pina Nuzzo

(da un documento per la Scuola politica Udi 2009)

 

 

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