funzione politica e leadership femminile

 

Scuola politica Udi 2007, Casamassella, Le Costantine

Il Centro Universitario di Sociologia Politica dell’Università di Firenze (Ciuspo) ha avviato nel 2012 una ricerca per il Centro Servizi Volontariato Toscana (Cesvot) sui percorsi di partecipazione femminile nel volontariato e nelle associazioni, avvalendosi di interviste di carattere biografico a 20 volontarie attive nell’associazionismo toscano e a 5 donne con ruoli direttivi in associazioni di rilevanza nazionale. Gli esiti di tale ricerca sono stati presentati il 25 ottobre 2013 a Firenze alla Fortezza da Basso in occasione dell’Assemblea Nazionale di Anci nella tavola rotonda “Oltre le statistiche: il volontariato delle donne“, promossa da Cesvot e Ciuspo in collaborazione con Commissione regionale pari opportunità della Toscana.

Per questa ricerca Stella Milani mi ha intervistata  in merito agli anni in cui sono stata Delegata alla Sede nazionale dell’Udi (2003-2011). Nel restituire la mia esperienza, ho voluto evitare la rappresentazione edulcorata che si tende a dare della leadership femminile, come se stessimo parlando di un ruolo che sta tra l’impiegata e la governante. Non è così. La leadership richiede l’agire consapevole, determinato; significa usare tutta la forza necessaria per attuare una visione della politica.

La nomina a Delegata alla Sede nazionale dell’Udi, nel 2003, è avvenuta in un momento particolare per l’Associazione; quando era vicina al collasso. E non tanto perché le donne che se ne erano occupate prima non fossero capaci ed esperte, ma perché occorreva un ripensamento della nostra politica che chiamasse in causa ogni singola associata sulla rappresentazione e sulla narrazione che andava facendo dell’Udi. Occorreva quindi ripensare l’Udi come luogo progettato simbolicamente, occorreva ripensare il nostro modo di stare insieme.

Conoscevo bene l’Udi perché vi ero approdata negli anni ‘70, per cui, accettando un ruolo di rappresentanza, sapevo di dover fare i conti con quella parte delle associate che non intendevano mettere a rischio gli equilibri consolidati nei territori. Non tutte ovviamente, ma sarebbero state necessarie delle forzature per tornare a dire “noi” in modo autorevole, per non restare prigioniere di un’Associazione riconosciuta solo per la storia passata. Così alle soglie del nuovo millennio, con un Congresso durato due anni, abbiamo dovuto prendere atto che si era conclusa l’era delle assemblee e mettere alle nostre spalle una pratica che produceva ormai solo marginalità. Abbiamo dovuto affrontare antiche paure e resistenze di fronte a parole come dirigenza politica, e accettare il principio che dirigere in politica vuole anche dire assumersi delle responsabilità, sottoporsi a giudizio.

Per dare seguito a un progetto politico – Un patto per dire noi dove ciascuna ha già imparato a dire io – mi sono autorizzata a leggere la realtà e a dare delle risposte. Mi sono fatta carico della gestione quotidiana dell’Associazione, mi sono assunta le fatiche della manutenzione della politica, non solo della cura. E sono stata determinata a non farmi ridurre a un servizio dell’Udi.  L’aspetto più interessante del mio mandato ha riguardato il lavoro che ho fatto per far circolare le informazioni e per mettere in comunicazione le donne. Ho dovuto contrastare un vizio diffuso nell’associazione: avere referenti, a livello territoriale, anche di un gruppo di sole cinque donne, che requisiscono il nome dell’Udi, funzionando da ostacolo anziché da tramite nella comunicazione.  La telematica mi ha dato una mano, mi ha fatto scavalcare molti steccati e permesso una comunicazione diretta, veloce, documentabile, che lievitando ha modificato la percezione dell’Associazione. Anche oltre l’Associazione. Le donne che sono arrivate all’Udi attraverso la rete, oltre al desiderio di essere informate, speravano di trovare l’occasione di incontro reale con le altre. Questo sono state, nella mia esperienza, le tre campagne 50E50… ovunque si decide! , la Staffetta di donne contro la violenza sulle donne, Immagini amiche e la scuola di politica. Così l’Udi, ad un certo punto, ha rappresentato per molte, anche non dell’Udi, una speranza: un riferimento organizzato. Speranza, non certezza. Perché l’esistenza dell’Udi non è garantita nemmeno grazie ai “sacrifici” fatti da una o da tutte, tutto può sempre finire, nonostante l’apparenza, nonostante gli archivi se non si è in grado di cogliere la realtà.

Nella lunga intervista rilasciata a Stella Milani, ho avuto modo di ripercorrere un’esperienza che so essere  unica, che ha rappresentato un personale processo di crescita perché quando si assume una funzione non è automatico che questa si trasformi in autorità, anzi, di solito, quella funzione finisce per moderarti. Perché la funzione comporta frequentemente la mediazione, costringendo alla medietà. Tuttavia non cancella la disparità.

Pina Nuzzo

 

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