di Pina Nuzzo
Ho incontrato Nadia Spano per la prima volta circa quattro anni fa (1), in occasione di una visita organizzata da Patrizia Gabrielli, docente di Storia contemporanea all’Università di Siena, nella Sede nazionale dell’Udi, dove è anche conservato l’Archivio centrale. Era venuta a Roma con i suoi studenti per far loro una vera e propria lezione sulle donne dell’Assemblea costituente, alla presenza di una delle protagoniste.
Mi sono messa anch’io in ascolto di Nadia Spano. Era consapevole, e lo diceva, che la sua lettura attuale dei fatti era diversa da come li aveva realmente vissuti. Ci raccontava di quella fase della sua vita con ironia, quasi a volerla sottrarre alla mitizzazione, mentre si soffermava con tenerezza sulla sua giovane età e sull’atteggiamento protettivo dei compagni. Minuta, in piedi dietro la scrivania, circondata dai faldoni, parlava e pareva respingere gli sguardi di ammirazione di noi tutti e le parole di Patrizia Gabrielli che la collocavano nella prospettiva storica che meritava. Ma si accendeva nel ricordare il lavoro che aveva fatto con altre donne per organizzare, nell’immediato dopoguerra, la massiccia ospitalità dei bambini meridionali presso le famiglie del nord. Era già l’Udi, in un contesto di solidarietà umana, di classe e politica. E io, che pure sono nell’Udi da molti anni ormai, ancora una volta mi trovavo a fare i conti con le origini di questa associazione. Sono arrivata alla politica all’inizio degli anni settanta, per così dire “senza radici”, e non sapevo ancora che tante coetanee provavano sentimenti uguali ai miei e avevano la mie stesse paure. L’ho scoperto strada facendo, ma nell’Udi ho scoperto che c’erano donne dell’età di mia madre che non erano come mia madre. Noi, giovani al tempo del femminismo, rifiutavamo di collocare la politica delle donne in una tradizione, ma nell’Udi era ed è impossibile ignorare scavalcare considerare irrilevanti le donne che l’Udi l’hanno via via costruita attraverso lotte politiche concrete.
Le nuove generazioni arrivano a quella storia attraverso altri percorsi, non a caso l’Archivio Centrale è consultato per le ricerche e le tesi, e questo costringe anche me a ritornare su fatti e documenti lontani, a rileggerli al di là di come sono stati tramandati nel racconto delle donne che ci sono state compagne e maestre.
“Ed è con speranza ed emozione che noi varcammo la soglia di Montecitorio, ma anche con un forte senso di responsabilità nei confronti delle donne. Avevano votato per la prima volta e per la prima volta delle donne le rappresentavano. Noi lo sentivamo ed eravamo consce di dover esprimere le speranze di tutte le donne, anche al di là, […] degli orientamenti dei singoli partiti”. (2)
Non solo io ascoltavo Nadia Spano rapita dalla passione e dalla lucidità con cui raccontava, anche i ragazzi e le ragazze erano attenti, ma lo stupore più grande nasceva dal trovarsi di fronte a una persona che – pur protagonista degli albori della nostra Repubblica e per loro oggetto di studio e di ricerca storica – era là di fronte a noi, del tutto contemporanea e consapevole dei problemi del nostro tempo. Io però non ero stupita, perché nell’Udi ho sempre visto compresenti e attive diverse generazioni; senza sconti e indulgenze per nessuna. Per questo esercitiamo una consapevole pratica della memoria storica, che si materializza nella cura di molti archivi territoriali, dell’Archivio Centrale collocato nella sede nazionale in via dell’Arco di Parma a Roma, nell’allestimento di una grande mostra, ora itinerante, di manifesti politici prodotti dall’Udi nel corso delle sue lotte, in una produzione libraria che raccoglie le memorie delle protagoniste e la storia dell’istituzione femminile che siamo state e che sappiamo ancora essere. Non si tratta di culto del passato, ma di strumenti offerti alla conoscenza e alla critica delle nuove generazioni, con le quali ci misuriamo sui problemi e sulle domande che non sono sempre o solo quelle che si agitano nelle piazze, reali o mediatiche.
Mi pare, insomma, che possiamo ben proseguire il cammino, rivolgendo alla memoria di Nadia Spano, come sorriso e come auspicio, le parole che lei stessa dedicò ad un’altra grande donna della Resistenza e del movimento di emancipazione, Gisella Floreanini: “E voglio subito dire una piccola cattiveria: data la sua biografia, se fosse stata un uomo, noi troveremmo oggi, almeno in alcune delle località che la videro protagonista di tante battaglie, una piazza o una via intitolata al suo nome. Ma non era che una donna! E, per avere lo stesso riconoscimento, una donna, si sa, deve fare e dare molto di più”.
nota 1 testo scritto nel 27 gennaio 2006, in occasione della morte di Nadia Spano, avvenuta il 19 gennaio del 2006
nota 2 Patrizia Gabrielli, La pace e la mimosa – l’Unione donne italiane e la costruzione politica della memoria 1944-1955, Donzelli editore, pag 34
intervista di Antonella Restelli a Nadia Spano