Le donne oggi giovani hanno il mio stesso desiderio di spazi più ampi e di confini allargati, solo che per me era già una conquista uscire di casa, andare a lavorare, avere un asilo dove “mollare” mio figlio, avere una mia socialità. Loro, ormai uscite dai confini delle case e della domesticità, per scelta o per necessità, percepiscono il mondo come la loro casa. Da qui nascono nuove paure, nuove “povertà”. Perciò, se vogliamo fare politica e avere un futuro, siamo obbligate a nuove priorità.
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Prima ancora che iniziative ho promosso accostamenti di persone e accostamenti di idee, di campi. E ho ripreso la pratica dei piccoli incontri, dove piccoli non equivale a insignificanti: piccoli perché capaci di agire una sobrietà politica, uno sfrondamento di ciò che è inutile, ingombrante, decorativo. E piccoli perché più adatti a parlare delle priorità e delle urgenze, più capaci di impostare non una politica “visibile” come sono visibili le “veline”, ma significativa, tendente a lasciare un segno e ad accumulare forza.
Da qui nascono nuovi accostamenti, nuove priorità. Da qui è stato possibile pensare alla sede nazionale dell’Udi come luogo di nascita di un nuovo rapporto sia con le istituzioni che con altri soggetti politici.
L’Udi, quindi, come luogo progettato simbolicamente, con la certezza che l’Udi è l’unico sforzo in atto in Italia per organizzare politicamente le donne. Sforzo, non certezza. Perché l’esistenza dell’Udi non è dovuta e non è garantita nemmeno grazie ai “sacrifici” fatti da una o da tutte. Capire la realtà significa sapere che tutto può sempre finire, nonostante l’apparenza, nonostante gli archivi.
Rivendico la fatica di un rispetto tutto conquistato, come rivendico il diritto a veri conflitti invece della tolleranza nei confronti di generiche inimicizie che chiamano in causa i caratteri, senza nemmeno una vera competizione in nome di un progetto alternativo. Rivendico il solo fatto di avere scelto, in questi anni. Ed è su questo che vorrei essere giudicata. Perché il segno del rispetto tra noi è assumersi le conseguenze dei gesti politici che mettiamo in atto.
Pina Nuzzo
Giugno 2005