Pina Nuzzo, da una lettera alle donne del Centro delle Donne di Lecce, 1998
…Ho desiderato che mia madre avesse autorità su di me. Questo avrebbe voluto dire che aveva parola nella sua come nella mia vita, ma così non è stato. Mia madre – come altre madri strette nella morsa del patriarcato – ha esercitato quella forma di potere che viene dall’essere compartecipe dell’istituzione della maternità.
In virtù di questo una madre può insegnare la lingua e nello stesso tempo condurre al silenzio. Per uscire dal silenzio ho cercato la politica; avevo bisogno di un luogo dove cominciare a parlare e dare senso alla distanza, anche fisica, che avevo messo tra me e mia madre. Anche se non ho mai voluto pensare mia madre come nemica; intuivo che questo mi avrebbe condotto verso una complicità col maschile. L’ho fatto più per istinto di conservazione che per consapevolezza.
Nella politica separata ho incontrato donne che mi hanno dato parola, donne che mi hanno fatto vedere l’autorità femminile. La vedevo perché agiva tra noi e ne regolava i rapporti. Nella politica delle donne ho capito quanto sia importante l’amicizia verso il proprio sesso, che non significa diventare amiche. Ho misurato nella pratica come nessun luogo politico possa resistere a lungo senza questo sentimento.
L’amicizia verso il proprio sesso viene prima di qualsiasi rapporto tra donne, anche prima della relazione, perché mette una distanza tra me e l’altra e mi rafforza nelle relazioni con il genere maschile. Se ci facciamo carico di questa forma di amicizia possiamo avere la libertà, in pubblico come in privato, di dichiararci amiche. Mentre, la mancata esperienza di quella forma ci vincola alla funzione di madri e al ruolo di figlie; coatte anche quando le ragioni della solidarietà ci vorrebbero sorelle. Mai adulte, neanche quando tragicamente ci dichiariamo guerra. Ancora oggi non sappiamo né pensare né rappresentare l’inimicizia. Riducendoci spesso ad essere nemiche per conto terzi.
In tanti anni ho sperimentato come l’assenza di amicizia verso il proprio sesso possa tramutarsi in mancanza di responsabilità verso noi stesse e verso la politica che vogliamo fare. Le parole si fanno sconsiderate, si appellano a un dover essere che cambia di volta in volta, appiattiscono una donna al pregiudizio sul femminile, fanno le veci del giudizio. Ciò crea confusione tra pubblico e privato, tra voglia di stare al mondo e voglia di conferme; allora può capitare che si rimproveri ad una donna di essere autoritaria, può capitare che si traduca in richiesta di amicizia la difficoltà di misurarsi con lei, può capitare che le si dia una funzione, come se fosse nostra madre.
Esitiamo nell’affidarci all’autorità femminile, perché temiamo che questo ci privi per sempre di quell’amicizia a cui tendiamo…